giovedì 4 dicembre 2014

Scarpe e ancora buche

Quando il 2 novembre del 1957 sono venuta a Roma mi sono accorta che tutte, ragazze e donne, indossavano scarpe con tacchi, le scarpe basse erano tabù. Per me andava bene, mi ero abituata in Argentina alle scarpe col tacco alto e ci camminavo benissimo, con grazia. Ma fuori dal lavoro mi mettevo scarpe sportive per andare in bicicletta, per saltare la corda e per camminare lunghe distanze. Il mio primo paio di scarpe con tacchi l'ho avuto a 17 anni, comprate con il mio primo stipendio. Le usavo per andare alle festicciole e mi piacevano tantissimo. Erano di colore blu.

A Roma negli anni '50 vedevo già molti turisti in giro, i giovani americani vestivano in shorts, T-shirts, scarpe da ginnastica e calzerotti. I romani li guardavano con disgusto dicendo "come si vestono male".
Cinque mesi dopo essermi sposata ho preso la nave e poi il treno per andare a trovare i miei in Canada e sono tornata a Roma con un paio di belle scarpe basse grigie di camoscio che indossavo con una gonna grigia, un blazer grigio (olandese), calze a minuscoli quadretti rossi e verdi (canadesi) e in testa un berretto rosso. Un outfit allora inusuale per l'Italia. Un parente napoletano mi criticava: "Le straniere vestono male, le donne non devono usare scarpe basse, ma solo scarpe con tacco".
Dovendo prendere a New York la nave di ritorno sono stata per qualche giorno ospite di un cugino di Pino e di sua moglie nella Grande Mela e muovendomi con la metro per la città in un grande magazzino mi sono comprata un paio di bermuda che solo dopo diversi anni sono stati di moda in Italia. Con questo bermuda sono scesa dalla nave a Napoli dove Pino mi aspettava. Che felicità rivederci! Per non dare troppo nell'occhio ho dovuto aprire la valigia per mettermi l'impermeabile che mi aveva comprato mia madre in Canada per coprire gli shorts o, per meglio dire, le ginocchia, dato che indossavo calzettoni.
Leggendo l'intervista al regista Bernardo Bertolucci che ho inserito nel post precedente mi è venuto in mente che tante volte in passato sono rimasta incastrata con i tacchi nelle imperfezioni delle strade, rovinandoli. In Via Teulada tornando dal mercato tenendo con una mano il carrello della spesa e con l'altra un figlio, per circomnavigare una buca ho messo il piede in una crepa adiacente e ho preso una storta. In quei giorno la mia amica Olga si è storta un piede in una buca in Viale Angelico e non potendo lavorare per qualche settimana un amico avvocato le ha procurato un indennizzo dal Comune.
Adesso uso solamente scarpe basse, così è stato anche domenica scorsa quando sono andata ad un té-concerto nella bella casa dell'amica Allegra, al ghetto. Per tornare a casa ho preso un bus a Largo Argentina, davanti al teatro. Alla fermata, dove si fermano tanti bus, c'era la folla e molti erano i turisti. L'87 si faceva attendere e, mentre camminavo avanti e indietro aspettandolo, ho osservato che la pavimentazione a tegole era ben fatta. Una volta a casa, mentre mangiavo un piatto di verdure, ho sfogliato una rivista del 25 ottobre. Un articolo parlava dei balli delle debuttanti a Mosca e dei miliardari russi che vivono a trenta chilometri dalla città nelle loro ville-fortezze in una strada che sembra di periferia. Dice l'articolo: L'unica reale diferenza, a farci caso, è l'asfalto liscio, ben curato, sempre fresco di manutenzione. Una rarità assoluta per un paese dove, sin dai tempi delle trojke di Gogol, le condizioni delle strade sono un disastro assoluto. Questa strada nel quartiere per oligarchi è in effetti una specie di pista privata, liscia e senza buche.
Mosca e Roma hanno molto in comune per quel che concerne la pavimentazione.

Quando a settembre ero da Jan per un mese, prima di partire mi ha comprato un paio i scarpe da ginnastica, ormai anche qui le chiamano sneakers, e come me le sto godendo, sono comodissime e carine.  





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