venerdì 23 novembre 2012

1957, il mio arrivo in Italia


In un'intervista Philip Roth dice: "Abbiamo solo la fortuna o la sfortuna di fare certi incontri che possono rivelarsi buoni o cattivi." Ed è vero che il destino di ognuno di noi dipende sempre da incontri, casuali o voluti, che possono dare una svolta alle vie della tua vita. Lasciando il Canada, sulla nave verso Amsterdam ho conosciuto Bert e Steni. Attraverso Steni ho trovato un impiego molto buono all'Aia e tramite la corrispondenza con Bert che viveva a Roma mi è venuto il desiderio di vedere questa città con i miei occhi e di trasferirmici per un pò.
E così, dopo un anno in Olanda, il 2 novembre del 1957 sono arrivata in Italia. Per un breve periodo ho vissuto in una stanza in affitto a Piazza Santa Maria in Trastevere. Sentivo scrosciare dolcemente l'acqua della fontana in mezzo alla bella e tranquilla piazza con la vista sull'antica chiesa. Un suono gradevole. Roma allora era molto ma molto più tranquilla di adesso; era più romantica e in molti quartieri ci si sentiva come in un grande paese. A Trastevere vedevo sedute su una sedia davanti al loro portone delle donne che vendevano sigarette: una alla volta! Per le strade si sentiva odore di ragù, di sera le stradette erano scarsamente illuminate. C'era poca vita mondana. C'erano botteghe di artigiani e trattorie casarecce dove si mangiava per pochi soldi. C'era anche l'E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza) e là il cibo, semplice al massimo, era a prezzo incredibilmente irrisorio.  I locali dell'E.C.A. erano sparsi per la città ed erano per coloro che avevano pochi soldi a disposizione, perciò ci si vedevano i poveri ma anche impiegati d'ufficio e giovani come me ed i miei nuovi amici. Peccato che questa istituzione all'improvviso sia sparita, scomparsa per sempre, mentre adesso con  gli innumerevoli mendicanti e senzatetto sarebbe utilissima. In una trattoria frequentata per lo più da spazzini e prostitute anche là il pranzo era buono, molto economico e anche abbondante tanto che non riuscivo a finire il piatto di gnocchi servitomi. In una piazzetta c'era un piccolo ristorante dove di sera arrivavano macchine che scaricavano attori ed attrici. Voci gaie e molta luce.
Io affrontavo per la terza volta una vita ed una lingua nuove. Assorbivo con piacere l'atmosfera del mio nuovo mondo. I colori e gli odori e la gente. Mi godevo il sole. Dopo cinque anni in Argentina sapevo ancora lo spagnolo (che adesso ho del tutto dimenticato) e subito me la cavavo abbastanza bene con l'italiano. L'italiano lo paragonavo alla cannella, lo spagnolo al pepe.
Bert ed i suoi amici che sono diventati anche miei amici mi davano consigli. Ho cominciato a prendere autobus e ad orientarmi, incontrando una mentalità alla quale non ero abituata. A Via Veneto ho sfilato per un negozio di pellicce, ingaggiata insieme ad altre modelle. Uscivamo dal negozio con indosso una pelliccia e la gente che passava, incuriosita nel vedere all'improvviso tante belle ragazze impellicciate,  si fermava a guardare e frattanto i fotografi scattavano. Altri lavori simili si susseguivano.  E tutti stiracchiavano sul compenso, pagavano il meno possibile. I miei amici erano già abituati a queste usanze, per me era una novità antipatica. Ma non mi scoraggiavo.



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