Oggi, 27 agosto, è l'anniversario della morte di Pino. Ieri sera, andando a letto ho preso il mio diario del 2003. Volevo leggere del giorno che ha finito di essere fra noi mortali, ma ho letto molto di più, del prima e del dopo la sua morte. Delle tre settimane abbondanti che è stato ricoverato nel policlinico Gemelli. Ero molto scossa rivivendo quei giorni. David ed io ne abbiamo parlato di quei tempi difficili, e anche con Sigrid al telefono. A Jan ho mandato una mail: "Oggi sono dieci anni che è morto papà. Ho letto fino a tardi stanotte il mio diario di quei giorni. Che bello che tu e Sigrid abbiate fatto in tempo ad essergli vicino in quegli ultimi momenti."
Mi ha risposto: "Sì, è vero, nonostante la grande tristezza di quei giorni, ricordo con un'amara dolcezza quell'agosto, tra noi c'era grande intesa e calore e papà era così felice di averci accanto a lui. Una bella famiglia. Un grande bacio mammina."
I giorni in ospedale sono stati molto sofferti, per Pino è stata una via crucis. Era molto coraggioso. Gli davano le flebo e non trovavano la vena, dopo molto provare il suo corpo era pieno di buchi: nel braccio, nelle mani, nelle gambe, nelle ginocchia, nei piedi. Finchè gli è venuta una flebite. Ho chiesto al medico che ogni mattina faceva il giro di controllo nelle stanze, circondato da studenti, se poteva aggiungere vitamna C al liquido delle flebo. Ma non lo ha fatto. Questo medico e il personale erano molto gentili. Sarebbe dovuto venire un dermatologo per via del forte prurito del quale Pino soffriva già da un pò, ma era in vacanza, e per tutto il tempo non si è visto un sostituto.
Il 16 agosto Jan è venuto da New York dopo un lungo viaggio: il giorno della partenza c'era un completo black-out in città. Ha fatto una coda di sei ore per aspettare che un aereo partisse. Poi ha dovuto cambiare aereo a Parigi aspettando sei ore. Il 23 è venuta anche Sigrid dall'Olanda. Come era felice Pino quando questi figli venuti dall'estero lo hanno abbracciato. Il medico dava la mano a Jan e a Sigrid e vedendo l'affettuosità fra di noi osservava: "Siete una famiglia molto unita."
Faceva molto caldo, anche nell'ospedale dove passavo tutta la giornata badando a Pino e seguendolo in tutto e per tutto. I ragazzi stavano anche per ore con il loro papà, lo accarezzavano, gli tenevano le mano e a volte andavano nel bagno a soffiarsi il naso.
Alla sera David o Jan mi venivano a prendere affinchè potessi farmi una doccia e dormire nel mio letto e alla mattina stavo di nuovo con Pino. Sembrava che stesse migliorando. Jan raccontava al suo papà che si era visto con una sua ex ragazza. Pino prendeva la mia mano dicendo: "Questa è la mia ragazza da 44 anni."
Poi a Pino è venuta la febbre alta: un'altra flebite, nel braccio. Ho deciso di rimanere anche di notte. Il giorno dopo stava di nuovo meglio. Gli imboccavo un pò di frutta e caffelatte con pane biscottato. Ma era un'illusione. Gli è venuta una polmonite ai due polmini e lo hanno riempito di medicine e antibiotici e gli hanno messo una mascherina di ossigeno. E' entrato in stato comatoso.
Il 26 sera quando sono rimasta sola con Pino ho sentito che respirava in un altro modo e ho chiamato il medico di turno che mi ha detto : "Sappiamo che la sua situazione è critica." Ho visto che la fine era vicina. Piangevo. Ho chiamato i ragazzi dicendo: "Papà quasi non respira più." E poi: "Non respira più." I tecnici sono venuti di corsa con i macchinari. David, Jan e Sigrid sono venuti immediatamente e il medico è venuto a farci le condoglianze." Era la mezzanotte passata. Il 6 settembre è stato cremato.
I ragazzi hanno sbrigato tutte le faccende burocratiche: un grandissimo sostegno.
Di notte i miei pensieri andavano sempre verso le sofferenze che aveva subito Pino, e con quale coraggio. Una notte di insonnia ho pensato: "Sette anni di cure sbagliate, decine di medici consultati, operazioni molto dubbie, terapie e ricoveri a volte inutili e continui l'hanno ucciso: The doctors killed him ed io ero impotente."
E mi ricordavo che nei momenti bui mi diceva: "Vorrei stare con voi ancora un pò." Gli raccontavo di quando andavo in Canada dai miei, i managers che prendevano il piccolo aereo che li portava per lavoro da London a Toronto, erano vestiti con un abito molto elegante e con in testa un capello da cowboy. Nei viaggi successivi gli ho portato dal Canada un capello da cowboy. Se lo metteva, gli stava molto bene perchè era un personaggio originale, artistico, si poteva permettere cose non comuni.
Una volta parlando con Jan al telefono gli disse: "Grazie ai capelli che mi porta mamma mi diverto e faccio volentieri due passi nel quartiere."