Via email Jan mi ha mandato un articolo pubblicato il 31 gennaio sul giornale New York Times. Parla della fame in Olanda nell'inverno del 1944/45, che fu rigidissimo. La popolazione fu sopraffatta da fame e freddo. Per denutrizione tanta gente cadeva morta per la strada.
Quando nel 1940 i Paesi Bassi sono stati invasi dalle truppe tedesche le risorse e le derrate alimentari sono iniziate a scarseggiare. Il cibo era poco e razionato. Con gli anni la situazione peggiorava, cibo e materie prime erano quasi azzerati. Non c'erano le gomme per le biciclette e perciò le ruote erano fatte di legno e in casa, con le vecchie e consumate gomme, si facevano le scarpe. Mi ricordo che io e i miei fratellini andavamo allo Spaarne dove le barche scaricavano patate e, sdraiati sulla pancia, pescavamo qualche patata caduta nell'acqua. I due maschietti, Minze quasi 12 e Henk (Hendrik Jan) quasi 10 anni, si arrampicavano a volte su un camion che andava fuori città per un rifornimento di articoli combustibili e quando qualcosa cadeva durante i carichi se lo prendevano, era consentito. Ricordo che una sera eravamo tutti intorno al tavolo a togliere gli insetti dai fagioli. Eravamo felici di aver rimediato questi fagioli. Mio padre, che era operaio, tornava stanco dal lavoro e usciva di nuovo in bicicletta per lavorare un pezzetto di terra preso in affitto. Quando le verdure erano pronte da raccogliere ha avuto una brutta sorpresa: qualcun altro se l'era portate via. I nostri genitori soffrivano molto di non poter dare ai figli da mangiare a sufficienza. Noi bambini, spensierati e incoscienti, ci distraevamo con la scuola e i giochi con gli amichetti.
I miei genitori, e anche il fratello di mio padre, zio Hendrik, e sua moglie Gees, hanno pensato che fosse meglio andare dai parenti in Friesland dove c'erano molte fattorie e perciò più possibilità di trovare qualcosa con cui riempire la pancia. I treni funzionavano di rado. In caso si fosse presentata un'opportunità avevamo pronte le valigie. Finalmente, mi sembra fosse fine estate 1944, per primi sono partiti mia zia con i due figli e non troppo tempo dopo noi: mia madre, noi tre figli e la mia bisnonna di quasi 88 anni. Agli uomini non era permesso di lasciare la città. Il treno era un treno merci e bisognava sedersi per terra, cosa impossibile per beppe (nonna in frisone) che con un'operazione le era stato inserito un ferro nell'anca. Si è seduta su una valigia. Si viaggiava a rilento, spesso il treno si fermava. Gli aerei volavano bassi sopra di noi. Erano venuti per bombardare? Le ore passavano. Dai finestrini si vedevano case e campagne e ad un certo punto ho visto una scritta in tedesco. Ho esclamato: "Guardate, c'è scritto in tedesco!" Mia madre incredula: "No, non è possibile." Ma io ne ero sicura dopo aver avuto a scuola un anno di tedesco. Dopo i sei anni di scuola elementare frequentavo la MULO e di lingue straniere ce n'erano tre: inglese, francese e tedesco. Avevo tredici anni.
Dopo tanti anni non so più esattamente come siano andate le cose e non ho nessuno a cui chiedere. Mio fratello Henk, in Canada, è più giovane di me di tre anni e mezzo ma suppongo riesca a ricordare meno di me. L'altro fratello, Minze, non c'è più. Se non fosse per quest'articolo sul New York Times mandatomi da Jan può essere che non ci avrei pensato a far rivivere per iscritto questa nostra avventura di più di settant'anni fa. Scriverò quello che mi ritorna in mente.
Dopo molte ore di viaggio il treno si è fermato nella cittadina di Soltau, Germania. Tutti i viaggiatori del treno sono stati ospitati in una scuola al centro della città. Si dormiva nei locali, per terra, sulla paglia. Beppe è stata portata ad una casa per signore anziane. Noi andavamo a trovarla spesso. Le altre vecchiette, linde e dolci, erano carinissime con lei, l'accarezzavano e si dicevano dispiaciute per lei che si trovava lontana dal paese suo. Per arrivare a questo ospizio attraversavamo sentieri in mezzo a frutteti e qualche mela finiva nel nostro stomaco.
In questa scuola in breve tempo gli olandesi si sono organizzati e hanno costruito letti a castello e in un locale i bambini hanno fatto scuola sotto la guida di genitori qualificati. Venivano dei giovani tedeschi che ci insegnavano canzoni folcloristiche e a volte ci portavano, insieme a bambini tedeschi, in un bellissimo bosco. Ci indicavano quali foglie raccogliere da arbusti e alberi per farne uso medicinale e per farne infusi. Sapevano il nome di tutte le piante. Io per conto mio sceglievo del muschio, qualche pigna e rametti colorati per farne una composizione. Mi piacevano molto queste uscite.
Mia madre avrà fatto sapere per lettera a mio padre dove eravamo andati a finire ed un giorno, con nostra grande sorpresa, ci è apparso davanti. Aveva avuto il permesso di lasciare la città perché non stava bene in salute (dopo la guerra è stato operato). Adesso mi chiedo come abbia fatto a viaggiare e a trovarci. Sicuramente coraggio non gli mancava. Aveva 36 anni, mia mamma 35. Dopo averci ritrovato lui da subito si è guardato in giro e ha trovato una fattoria dove c'era bisogno di mano d'opera. I tedeschi, salvo gli anziani, erano tutti al fronte. E tutti noi ci siamo trasferiti in una casetta a fianco della fattoria lontana dalla città. A ognuno di noi veniva assegnato un compito. Mio padre, uno di dieci figli, che dopo i sei anni obbligatori di scuola elementare aveva lavorato in una fattoria in Friesland era capace di svolgere qualsiasi compito. A mia madre toccava pulire i tanti grandi contenitori del latte. Con acqua gelata e a mani nude - non c'erano ancora guanti di gomma. Sulla punte delle sue dita si sono formate delle dolorose verruchette. In più badava alla casa e cucinava per noi. I miei fratellini, bambini di città, hanno imparato a mungere le mucche; si alzavano prestissimo ed è successo che una mattina il più piccolo si è addormentato sullo sgabello, la testa appoggiata alla pancia della mucca. Io con un bastone in mano in un prato badavo alle mucche affinché non si avventurassero nel campo dei cavoli. E Beppe? Beppe nel bosco che confinava con la fattoria, spesso con la nostra assistenza, raccoglieva legna per la stufa, ed era felice di stare all'aria aperta e di stare tutti insieme. Si vedeva e ce lo diceva. Il figlio del fattore, mi sembra si chiamasse Heinrich, era della stessa età dei miei fratelli. Quando eravamo senza impegni ci inoltravamo con lui o da soli nel vasto e stupendo bosco. Succedeva che si incontrava un cervo o una lepre. Ci piaceva molto un fiumiciattolo con acqua color ruggine. Heinrich era un birbone. Rubava sigarette a suo padre e fumava lontano dalla sua casa. Offriva anche a Minze e Henk ma loro non erano attratti dal fumo.
Nella fattoria lavoravano anche tre prigionieri di guerra, due francesi, Pierre e Rémi e un piccolo polacco scimmiesco, Stanislao. I francesi ogni tanto ricevevano dal loro paese un pacco che conteneva anche sbarre di cioccolato. La sera venivano a casa nostra portando il cioccolato e mia madre faceva per tutti cioccolata calda. Rémi badava ai cavalli e nella loro stalla aveva una stanzetta. Gli altri due andavano a pernottare in una casa distante per prigionieri di guerra.
Circa ogni due settimane andavamo a Soltau, mia madre e uno dei figli a fare le spese razionate. Si andava col treno che arrivando già da lontano si sentiva la campanella che suonava incantevolmente. Nei negozi erano tutti molto gentili e cortesi. Mi ricordo che la signora che vendeva il pane aveva le lacrime agli occhi per l'empatia che sentiva per noi. Ma poi, c'era la neve, è caduta una bomba sui binari del treno che perciò non funzionava più e per fare le spese attraversavamo a piedi il bosco. Una lunghissima camminata. Tornando con le valigie piene di cibarie per due settimane e per sei persone, ormai faceva buio e non si vedeva più il sentiero, solo guardando in alto seguendo la striscia di cielo tra gli alberi si intuiva la strada. Ogni tanto ci si riposava perché le valigie erano pesanti. Una volta che Rèmi andava in città sono andata con lui portandomi la lista delle spese. Sul carro col cavallo che traballava non avevo dove appoggiarmi, e così Rémi mi ha fatto stare davanti a lui mentre lui guidava in piedi tenendo le redini. Fatte le spese mi ha portato alla scuola per salutare i vecchi conoscenti olandesi. Ma ormai vivevo in un altro mondo, mi ero estraniata e salutavo alla tedesca: "Gutentag" Rémi frattanto ha fatto le sue commisioni ed è venuto a riprendermi.
I prigionieri e altro personale pranzavano nella Stube, una stanza da pranzo con mobili in legno, intorno ad un tavolo. La cuoco tedesca, burbera ma buona, mi ricordo che aveva una gobba, ci faceva assaggiare, a noi bambini, un piattino di zuppa di fagioli e verdure. Squisita. Noi andavamo nella Stube perché Rèmi e Pierre ci insegnavano canzoni francesi. Non mi sono scordata la canzone J'attendrai: Le jour et la nuit, j'attendrai toujours ton retour. Che bella canzone. Rèmi e Pierre erano così soddisfatti del resultato che mi facevano alzare su una sedia per cantare per tutti. Quando mi stancavo scappavo e saltavo da una finestra alta giù nel cortile. Ero agile e noi bambini con l'aria sana e il cibo a sufficienza eravamo vivaci ed in forma. Ma mi sono anche ammalata per un po'. Stavo molto male ed ero diventata gialla. Non mangiavo. L'unica cosa che desideravo era una mela e i miei fratellini sono andati al frutteto e hanno raccolto le ultime due o tre mele rimaste attaccate ad un melo. Poi è venuta un'infermiera che girava in bicicletta per portare ai malati uno sciroppo, uno sciroppo amarissimo che mi ha fatto però subito star meglio. C'era un'epidemia di itterizia. Solo io ho preso questo male. E leggevo. C'erano solo libri in tedesco e spesso scritti con caratteri gotici, che erano difficili da decifrare ma, tanto agognavo leggere che con avidità divoravo le storie scritte. Gli altri vedendo quegli scritti indecifrabili si meravigliavano e allora io raccontavo loro la trama. Per riscaldare il letto si usava un grosso sasso piatto che si avvolgeva in una federa. Non c'erano coperte ma piumoni che per noi erano una novità.
A Natale siamo stati invitati a pranzo da una giovane coppia che abitava in una casetta all'altro lato della fattoria: non mi ricordo che lavoro svolgeva. Avevano una figlia adottiva, Gertrude. Per questa occasione avevano messo da parte cibarie razionate. Non ci sembrava vero vedere un tavolo imbandito così ricco e festoso. Non avevamo mai avuto nessun contatto con questi giovani generosi e gentili.
Un giorno ci siamo allontanati parecchio da casa e all'improvviso in mezzo agli alberi c'era davanti a noi un piccolo lago ghiacciato. Pochi bambini giocavano sul ghiaccio. Noi tre ci siamo guardati: se avessimo avuto li i nostri pattini.
Sono arrivati tanti profughi a Soltau, credo di ricordare che fossero polacchi. Ad ogni fattoria veniva assegnata una famiglia, da prelevare in municipio. Ci è andato Rémi con carro e cavallo e ha chiesto ai miei genitori se io potevo andare con lui. La famiglia che è venuta con noi consisteva in due bambini piccoli, una bambina della mia età, la loro madre e la nonna. Le due donne vestite di nero col capo coperto da un fazzolettone nero, piccole di statura, contadine. Nella fattoria avevano una loro stanza. Io ho fatto amicizia con la bambina. Lei per addormentare il fratellino più piccolo muoveva avanti e indietro la culla canticchiando una nenia monotona. Comunicavamo in tedesco. Qualche volta giocavamo nel cortile. Mi ha detto: "I tuoi genitori sono belli."
Finita la guerra noi di nuovo su un treno, direzione Olanda. Questa volta c'erano i sedili. E di nuovo tutti i passeggeri son stati fatti alloggiare in una scuola, a Groningen, capoluogo della provincia omonima che confina con la Germania. Non per molto tempo però. Abbiamo camminato per le strade della città; era strano trovarci di nuovo in Olanda. Faceva freddo. I treni erano scarsi e non so come siamo poi arrivati in Frisia, che confina con Groningen. Ospiti di una zia di mia madre, Janke, figlia di beppe (bisnonna) e di suo marito Klaas. Con loro abitavano le figlie Anna e Metje che ci insegnavano belle canzoni frisoni. I figli più grandi erano sposati e vivevano nella stessa città: Drachten. Si chiamavano Libbe e Haye. C'era anche un figlio più giovane, Hennie, che viveva nascosto dai tedeschi e per noi era un'ombra. I tedeschi da lì a poco se ne sono andati tutti. Le ristrettezze però sono continuate ancora per un bel po'. Spesso passava per le strade un camion che distribuiva zuppa e il pentolino che consegnavi veniva riempito. Con i miei fratelli andavamo per i prati dove pascolavano le mucche. Questi prati erano attraversati da sloten (fossi artificiali). E' uno sport tradizionale frisone saltare questi fossi con un'asta. Dopo una piccola corsa si fissa l'asta nel fosso e si salta. Se il fosso è largo mentre si salta ci si issa in alto sul palo per poter arrivare asciutti dall'altra parte. Succede a volte che si faccia un bel bagno. Minze e Henk una volta avevano saltato un fosso e poi sarebbe toccato a me. Però dall'altra parte due ragazzi più grandi di noi hanno chiesto ai miei fratelli di poter dare un bacio alla loro sorella una volta che anche lei avesse eseguito il salto. Non ho saltato.
Poi siamo stati da pake, mio nonno paterno, che viveva da solo nella sua casa grande a Suameer. Nella sua strada c'era una scuola elementare e noi l'abbiamo frequentata per qualche mese per abituarci di nuova alla vita scolastica. Si insegnava in olandese ma fuori scuola tutti parlavano frisone. I miei genitori fra loro e coi parenti hanno sempre usato la lingua frisone, a noi si rivolgevano però in olandese.
Mi ricordo che siamo tornati ad Haarlem in camion. Io ero seduta vicino al conducente. Passando per Amsterdam e vedendo per strada i bambini disinvolti e allegri che uscivano da scuola provavo gioia di essere tornata dalle mie parti.
I miei genitori, e anche il fratello di mio padre, zio Hendrik, e sua moglie Gees, hanno pensato che fosse meglio andare dai parenti in Friesland dove c'erano molte fattorie e perciò più possibilità di trovare qualcosa con cui riempire la pancia. I treni funzionavano di rado. In caso si fosse presentata un'opportunità avevamo pronte le valigie. Finalmente, mi sembra fosse fine estate 1944, per primi sono partiti mia zia con i due figli e non troppo tempo dopo noi: mia madre, noi tre figli e la mia bisnonna di quasi 88 anni. Agli uomini non era permesso di lasciare la città. Il treno era un treno merci e bisognava sedersi per terra, cosa impossibile per beppe (nonna in frisone) che con un'operazione le era stato inserito un ferro nell'anca. Si è seduta su una valigia. Si viaggiava a rilento, spesso il treno si fermava. Gli aerei volavano bassi sopra di noi. Erano venuti per bombardare? Le ore passavano. Dai finestrini si vedevano case e campagne e ad un certo punto ho visto una scritta in tedesco. Ho esclamato: "Guardate, c'è scritto in tedesco!" Mia madre incredula: "No, non è possibile." Ma io ne ero sicura dopo aver avuto a scuola un anno di tedesco. Dopo i sei anni di scuola elementare frequentavo la MULO e di lingue straniere ce n'erano tre: inglese, francese e tedesco. Avevo tredici anni.
Dopo tanti anni non so più esattamente come siano andate le cose e non ho nessuno a cui chiedere. Mio fratello Henk, in Canada, è più giovane di me di tre anni e mezzo ma suppongo riesca a ricordare meno di me. L'altro fratello, Minze, non c'è più. Se non fosse per quest'articolo sul New York Times mandatomi da Jan può essere che non ci avrei pensato a far rivivere per iscritto questa nostra avventura di più di settant'anni fa. Scriverò quello che mi ritorna in mente.
Dopo molte ore di viaggio il treno si è fermato nella cittadina di Soltau, Germania. Tutti i viaggiatori del treno sono stati ospitati in una scuola al centro della città. Si dormiva nei locali, per terra, sulla paglia. Beppe è stata portata ad una casa per signore anziane. Noi andavamo a trovarla spesso. Le altre vecchiette, linde e dolci, erano carinissime con lei, l'accarezzavano e si dicevano dispiaciute per lei che si trovava lontana dal paese suo. Per arrivare a questo ospizio attraversavamo sentieri in mezzo a frutteti e qualche mela finiva nel nostro stomaco.
In questa scuola in breve tempo gli olandesi si sono organizzati e hanno costruito letti a castello e in un locale i bambini hanno fatto scuola sotto la guida di genitori qualificati. Venivano dei giovani tedeschi che ci insegnavano canzoni folcloristiche e a volte ci portavano, insieme a bambini tedeschi, in un bellissimo bosco. Ci indicavano quali foglie raccogliere da arbusti e alberi per farne uso medicinale e per farne infusi. Sapevano il nome di tutte le piante. Io per conto mio sceglievo del muschio, qualche pigna e rametti colorati per farne una composizione. Mi piacevano molto queste uscite.
Mia madre avrà fatto sapere per lettera a mio padre dove eravamo andati a finire ed un giorno, con nostra grande sorpresa, ci è apparso davanti. Aveva avuto il permesso di lasciare la città perché non stava bene in salute (dopo la guerra è stato operato). Adesso mi chiedo come abbia fatto a viaggiare e a trovarci. Sicuramente coraggio non gli mancava. Aveva 36 anni, mia mamma 35. Dopo averci ritrovato lui da subito si è guardato in giro e ha trovato una fattoria dove c'era bisogno di mano d'opera. I tedeschi, salvo gli anziani, erano tutti al fronte. E tutti noi ci siamo trasferiti in una casetta a fianco della fattoria lontana dalla città. A ognuno di noi veniva assegnato un compito. Mio padre, uno di dieci figli, che dopo i sei anni obbligatori di scuola elementare aveva lavorato in una fattoria in Friesland era capace di svolgere qualsiasi compito. A mia madre toccava pulire i tanti grandi contenitori del latte. Con acqua gelata e a mani nude - non c'erano ancora guanti di gomma. Sulla punte delle sue dita si sono formate delle dolorose verruchette. In più badava alla casa e cucinava per noi. I miei fratellini, bambini di città, hanno imparato a mungere le mucche; si alzavano prestissimo ed è successo che una mattina il più piccolo si è addormentato sullo sgabello, la testa appoggiata alla pancia della mucca. Io con un bastone in mano in un prato badavo alle mucche affinché non si avventurassero nel campo dei cavoli. E Beppe? Beppe nel bosco che confinava con la fattoria, spesso con la nostra assistenza, raccoglieva legna per la stufa, ed era felice di stare all'aria aperta e di stare tutti insieme. Si vedeva e ce lo diceva. Il figlio del fattore, mi sembra si chiamasse Heinrich, era della stessa età dei miei fratelli. Quando eravamo senza impegni ci inoltravamo con lui o da soli nel vasto e stupendo bosco. Succedeva che si incontrava un cervo o una lepre. Ci piaceva molto un fiumiciattolo con acqua color ruggine. Heinrich era un birbone. Rubava sigarette a suo padre e fumava lontano dalla sua casa. Offriva anche a Minze e Henk ma loro non erano attratti dal fumo.
Nella fattoria lavoravano anche tre prigionieri di guerra, due francesi, Pierre e Rémi e un piccolo polacco scimmiesco, Stanislao. I francesi ogni tanto ricevevano dal loro paese un pacco che conteneva anche sbarre di cioccolato. La sera venivano a casa nostra portando il cioccolato e mia madre faceva per tutti cioccolata calda. Rémi badava ai cavalli e nella loro stalla aveva una stanzetta. Gli altri due andavano a pernottare in una casa distante per prigionieri di guerra.
Circa ogni due settimane andavamo a Soltau, mia madre e uno dei figli a fare le spese razionate. Si andava col treno che arrivando già da lontano si sentiva la campanella che suonava incantevolmente. Nei negozi erano tutti molto gentili e cortesi. Mi ricordo che la signora che vendeva il pane aveva le lacrime agli occhi per l'empatia che sentiva per noi. Ma poi, c'era la neve, è caduta una bomba sui binari del treno che perciò non funzionava più e per fare le spese attraversavamo a piedi il bosco. Una lunghissima camminata. Tornando con le valigie piene di cibarie per due settimane e per sei persone, ormai faceva buio e non si vedeva più il sentiero, solo guardando in alto seguendo la striscia di cielo tra gli alberi si intuiva la strada. Ogni tanto ci si riposava perché le valigie erano pesanti. Una volta che Rèmi andava in città sono andata con lui portandomi la lista delle spese. Sul carro col cavallo che traballava non avevo dove appoggiarmi, e così Rémi mi ha fatto stare davanti a lui mentre lui guidava in piedi tenendo le redini. Fatte le spese mi ha portato alla scuola per salutare i vecchi conoscenti olandesi. Ma ormai vivevo in un altro mondo, mi ero estraniata e salutavo alla tedesca: "Gutentag" Rémi frattanto ha fatto le sue commisioni ed è venuto a riprendermi.
I prigionieri e altro personale pranzavano nella Stube, una stanza da pranzo con mobili in legno, intorno ad un tavolo. La cuoco tedesca, burbera ma buona, mi ricordo che aveva una gobba, ci faceva assaggiare, a noi bambini, un piattino di zuppa di fagioli e verdure. Squisita. Noi andavamo nella Stube perché Rèmi e Pierre ci insegnavano canzoni francesi. Non mi sono scordata la canzone J'attendrai: Le jour et la nuit, j'attendrai toujours ton retour. Che bella canzone. Rèmi e Pierre erano così soddisfatti del resultato che mi facevano alzare su una sedia per cantare per tutti. Quando mi stancavo scappavo e saltavo da una finestra alta giù nel cortile. Ero agile e noi bambini con l'aria sana e il cibo a sufficienza eravamo vivaci ed in forma. Ma mi sono anche ammalata per un po'. Stavo molto male ed ero diventata gialla. Non mangiavo. L'unica cosa che desideravo era una mela e i miei fratellini sono andati al frutteto e hanno raccolto le ultime due o tre mele rimaste attaccate ad un melo. Poi è venuta un'infermiera che girava in bicicletta per portare ai malati uno sciroppo, uno sciroppo amarissimo che mi ha fatto però subito star meglio. C'era un'epidemia di itterizia. Solo io ho preso questo male. E leggevo. C'erano solo libri in tedesco e spesso scritti con caratteri gotici, che erano difficili da decifrare ma, tanto agognavo leggere che con avidità divoravo le storie scritte. Gli altri vedendo quegli scritti indecifrabili si meravigliavano e allora io raccontavo loro la trama. Per riscaldare il letto si usava un grosso sasso piatto che si avvolgeva in una federa. Non c'erano coperte ma piumoni che per noi erano una novità.
A Natale siamo stati invitati a pranzo da una giovane coppia che abitava in una casetta all'altro lato della fattoria: non mi ricordo che lavoro svolgeva. Avevano una figlia adottiva, Gertrude. Per questa occasione avevano messo da parte cibarie razionate. Non ci sembrava vero vedere un tavolo imbandito così ricco e festoso. Non avevamo mai avuto nessun contatto con questi giovani generosi e gentili.
Un giorno ci siamo allontanati parecchio da casa e all'improvviso in mezzo agli alberi c'era davanti a noi un piccolo lago ghiacciato. Pochi bambini giocavano sul ghiaccio. Noi tre ci siamo guardati: se avessimo avuto li i nostri pattini.
Sono arrivati tanti profughi a Soltau, credo di ricordare che fossero polacchi. Ad ogni fattoria veniva assegnata una famiglia, da prelevare in municipio. Ci è andato Rémi con carro e cavallo e ha chiesto ai miei genitori se io potevo andare con lui. La famiglia che è venuta con noi consisteva in due bambini piccoli, una bambina della mia età, la loro madre e la nonna. Le due donne vestite di nero col capo coperto da un fazzolettone nero, piccole di statura, contadine. Nella fattoria avevano una loro stanza. Io ho fatto amicizia con la bambina. Lei per addormentare il fratellino più piccolo muoveva avanti e indietro la culla canticchiando una nenia monotona. Comunicavamo in tedesco. Qualche volta giocavamo nel cortile. Mi ha detto: "I tuoi genitori sono belli."
Finita la guerra noi di nuovo su un treno, direzione Olanda. Questa volta c'erano i sedili. E di nuovo tutti i passeggeri son stati fatti alloggiare in una scuola, a Groningen, capoluogo della provincia omonima che confina con la Germania. Non per molto tempo però. Abbiamo camminato per le strade della città; era strano trovarci di nuovo in Olanda. Faceva freddo. I treni erano scarsi e non so come siamo poi arrivati in Frisia, che confina con Groningen. Ospiti di una zia di mia madre, Janke, figlia di beppe (bisnonna) e di suo marito Klaas. Con loro abitavano le figlie Anna e Metje che ci insegnavano belle canzoni frisoni. I figli più grandi erano sposati e vivevano nella stessa città: Drachten. Si chiamavano Libbe e Haye. C'era anche un figlio più giovane, Hennie, che viveva nascosto dai tedeschi e per noi era un'ombra. I tedeschi da lì a poco se ne sono andati tutti. Le ristrettezze però sono continuate ancora per un bel po'. Spesso passava per le strade un camion che distribuiva zuppa e il pentolino che consegnavi veniva riempito. Con i miei fratelli andavamo per i prati dove pascolavano le mucche. Questi prati erano attraversati da sloten (fossi artificiali). E' uno sport tradizionale frisone saltare questi fossi con un'asta. Dopo una piccola corsa si fissa l'asta nel fosso e si salta. Se il fosso è largo mentre si salta ci si issa in alto sul palo per poter arrivare asciutti dall'altra parte. Succede a volte che si faccia un bel bagno. Minze e Henk una volta avevano saltato un fosso e poi sarebbe toccato a me. Però dall'altra parte due ragazzi più grandi di noi hanno chiesto ai miei fratelli di poter dare un bacio alla loro sorella una volta che anche lei avesse eseguito il salto. Non ho saltato.
Poi siamo stati da pake, mio nonno paterno, che viveva da solo nella sua casa grande a Suameer. Nella sua strada c'era una scuola elementare e noi l'abbiamo frequentata per qualche mese per abituarci di nuova alla vita scolastica. Si insegnava in olandese ma fuori scuola tutti parlavano frisone. I miei genitori fra loro e coi parenti hanno sempre usato la lingua frisone, a noi si rivolgevano però in olandese.
Mi ricordo che siamo tornati ad Haarlem in camion. Io ero seduta vicino al conducente. Passando per Amsterdam e vedendo per strada i bambini disinvolti e allegri che uscivano da scuola provavo gioia di essere tornata dalle mie parti.
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