Le mie nipotine sono bilingue. Vivono in Olanda, frequentano una scuola olandese: la scuola steineriana. Col papà usano la lingua olandese e con la mamma la lingua italiana. Ed è un dono inestimabile crescere contemporaneamente con due o più lingue.
Quando i miei figli erano piccoli si affermava che il bilinguismo precoce fosse dannoso. Si sosteneva che l'energia necessaria all'apprendimento di una seconda lingua venisse utilizzata a scapito di altre attività cognitive. L'incontro con una nuova lingua avrebbe ritardato fra l'altro il processo di apprendimento della lingua madre. La mia amica Heidi una volta mi ha raccontato che le maestre di scuola elementare dei suoi figli l'hanno convocata a scuola per raccomandarle di non rivolgersi assolutamente al figlio e alla figlia in olandese, perché altrimenti sarebbero rimasti indietro con la lingua italiana e le altre materie.
A differenza di Heidi io non avevo contatti con l'Olanda perché la mia famiglia si trova in Canada e a quei tempi non avevamo a Roma conoscenze olandesi con cui fosse possibile parlare la mia lingua. Mio marito Pino non parlava il nederlandese, all'inizio si comunicava tra di noi in inglese e già in poco tempo me la cavavo con l'italiano. Quando Sigrid era piccola la nostra cerchia d'amicizie si era frattanto arricchita di coppie olandesi con figli, e ogni tanto ci incontravamo. Più che altro però eravamo circondati da gente di lingua italiana. Con David e Jan ho usato solo l'italiano e ho provato ad insegnare a Sigrid, quando aveva circa 5 anni, qualcosa della mia lingua, ma lei, contrariata mi diceva: "Solo tu parli questa buffa lingua" e si tappava le orecchie con le mani. Portandola al nuoto, insieme ai fratelli, una volta arrivati con l'autobus al Foro Italico dovevamo attraversare il ponte Duca d'Aosta e avevamo stabilito che durante quel tratto le avrei fatto scuola. Ma, messo piede sul ponte, lei cominciava a correre. Ci siamo fatti certe risate. Io le correvo accanto e cantavo, e, miracolo, quella canzone l'ha imparata e la cantava volentieri: Wat eet de boer, wat eet de boerin... Poi si è laureata in Lingue e Letterature Straniere e con mia sorpresa ha scelto come prima lingua il nederlandese. Diceva che le era venuta la voglia di impararla. Qualche anno dopo si è laureata anche all'Università di Nijmegen in Vrouwenstudies (Women's Studies) con una bella tesi scritta in un olandese ammirevole. E adesso quando in Olanda la sento conversare con gli amici l'ammiro per il suo linguaggio perfetto.
Dopo il 1962, grazie ad uno studio di Peal e Lambert sulla relazione tra bilinguismo e intelligenza la tendenza scientifica ha cambiato direzione: imparare una nuova lingua è come un esercizio per il cervello, aiuta a stimolare e aumentare la flessibilità mentale e porta ai bilingue altri benefici per l'intelligenza.
Ognuno ha la propria idea: per alcuni essere bilingue significa essere in grado di comunicare e farsi capire nonostante i possibili errori. Per altri invece la grammatica e la pronuncia sono essenziali.
Si parte comunque da un comune presupposto: il bilinguismo riguarda innanzitutto quei bambini allevati con due lingue madri diverse e che sono in grado di passare dall'una all'altra in modo naturale. E questo è il caso di Livia e Flaminia, beate loro.
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