martedì 22 ottobre 2019

Autobiografia di David (i disegni)






Non molto tempo fa David è andato ad una mostra di un suo ex professore dell'Accademia di Belle Arti. Quando è entrato in galleria il professore era attorniato da amici ed ex allievi. Ha abbracciato David con affetto rivolgendosi agli altri: "Ecco il più grande incisore vivente".
So che David ha scritto delle sue peripezie artistiche e gli voglio chiedere di pubblicarne qualcuna qui sul mio blog.

I miei disegni
I miei disegni, dove li metti li metti, non c’entrano mai niente: incollocabili e sempre fuori posto, troppo imbarazzanti per trovare spazio sulle pareti di una  galleria, eccessivi, diretti, e senza compromessi formali, hanno attraversato con continuità gli anni '60, gli anni '70, gli ottanta, i novanta, fino ad oggi, senza trovare mai il benchè minimo consenso. Mai legittimati e guardati ora con sospetto ora con insofferenza questi disegni mantengono inalterata nel tempo la propria ambigua vitalità: da una parte si offrono sguaiati, rumorosi e irrefrenabili, dall’altra, dosati e laconici si rivelano con solennità nel loro severo bianco e nero. Da sempre orgogliosamente figurativi, i miei disegni sono stati spesso criticati proprio dalle vestali dell’arte figurativa; dimostrazione pratica di come questi lavori tendano a spiazzare davvero tutti. In pochi hanno apprezzato i miei disegni: qualche amico, due o tre parenti. Critici e galleristi si sono debitamente tenuti alla larga. Perché? Sinceramente non lo so, né mi avventuro in acrobatiche analisi del fenomeno. Un mio amico ha azzardato: “David, mettiti nei loro panni: come si fa a prendere in considerazione un disegno raffigurante una donna barbuta che, mentre frigge un uovo nel tegame, si morde una spalla?” Sempre osteggiati e, secondo alcuni, pervasi da eccessive dosi di “visionarietà da peyote” questi lavori si distinguono invece per una totale assenza di tirchieria immaginativa: spendono da ricchi.
Quando i tuoi disegni vengono ignorati per una vita intera il dolore quotidiano, acuto e perforante, non si attenua mai. Ma ci si abitua, sembra impossibile, ci si abitua. E si impara a convivere con la rassegnazione. Anche se nel profondo ti ribelli e continui a sperare che un giorno qualcuno esca dal letargo e dichiari al mondo che i tuoi disegni sono degni di far parte della temperie culturale, possano finalmente essere resi di dominio pubblico ed essere amati o odiati, ammirati o derisi, comunque discussi. Ma se questo dovesse accadere sai anche che non saresti in grado di gestire l’improvvisa notorietà: saresti stupito e ti sentiresti un usurpatore, abituato come sei alla più totale assenza di attenzione.
Sei vivo, respiri, esisti, e i disegni sono la testimonianza più diretta del tuo passaggio sulla terra e se un giorno (e sarà comunque troppo tardi) dovessero essere sdoganati il loro presente sarà ormai passato.
I miei disegni ridono, piangono senza vergogna, gridano, scherzano, soffrono, giocano, parlano, a volte tacciono: i miei disegni sono vivi.  
 
 
 
 
 
 

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