sabato 29 gennaio 2011

Programmata coincidenza (prima parte)



Questo racconto l'ho scritto a New York, a maggio del 2004. Andavo spesso in giro da sola mentre Jan era al lavoro. Poi è venuta anche Sigrid a stare con noi per due settimane ed era bellissimo, lei ed io insieme a fare le turiste. Un giorno ho cominciato a scrivere questo racconto ed ero tanto presa a mettere ordine nel groviglio di idee che capitombolavano nella mia testa che la mia mente viveva momenti di ubiquità: godeva dello stare insieme ai miei figli, partecipava ai loro discorsi e nello stesso tempo era fissata nel costruire il seguito della narrazione. A volte mi sentivo uno zombie. Camminavo, prendevo la metro, parlavo con loro.
Vivendo contemporaneamente un'altra vita. Avevo con me carta e penna e ogni tanto mi fermavo ad annotare. Quando ho finito il racconto ero di nuovo presente al 100%.
Anche Pino aveva sempre carta e penna a portata di mano; succedeva spesso che di notte accendesse la luce vicino al letto per fissare un'idea per il libro che stava scrivendo. Ho un pensiero corrente: "Peccato che non abbia potuto far leggere a Pino i miei racconti, chissà che ne avrebbe detto, gli sarebbero piaciuti?"
Ecco il mio racconto newyorchese.

Programmata Coincidenza

Esco dalla metropolitana alla 125a Strada, seguo la  folla che sale le scale e mi ritrovo per strada, le mie gambe provate da più di cinque ore passate a girovagare per il centro della città non hanno ancora voglia di fermarsi. E' ancora presto, il clima è frizzante e dato che Jan torna tardi dal lavoro stasero decido di seguire un'altra rotta per tornare a casa. Non mi stanco di guardare l'architettura dei palazzi, osservo tutti i particolari. Anche la gente, che in questa parte della città  è prevalentemente afro-americana, cattura la mia attenzione. Arrivata al bel parco Morningside, verdissimo e curato, prendo una traversa. Anche qui le costruzioni sono di color marrone come nella strada che vediamo dalle finestre di casa di Jan. Delle scale marroni con le ringhiere nere portano all'entrata. A volte le finestre sono tondeggianti. Begli alberi rallegrano i larghi marciapiedi. Sulle scale, seduta sui gradini, la gente chiacchiera godendosi il fresco.
Ad un tratto mi fermo. Rimango di stucco. Che mi venga un accidente! A New York ho visto tanti cani, ma là sul muretto c'è il primo gatto che vedo in questa città ed è la fotocopia della nostra gattina, morta una decina di anni fa a Roma. Mi avvicino emozionata, sì è proprio lei, le macchie bianche e nere sparse sulla pelliccia allo stesso modo. Di gatti bianchi e neri ne ho visti a bizzeffe, ma mai uno identico tale e quale a Poesjemauw. I nostri occhi si fissano, lei li sbatte dolcemente in segno di saluto, si alza e la sua testolina cerca le mie mani per essere accarezzata. Non ne ha mai abbastanza. Ascolta le mie parole in italiano e in olandese come ero solita rivolgermi a Poesjemauw. Mette le zampette contro il mio petto e preme un attimo il suo naso freddo e umido contro la mia guancia, io le do un bacetto sulla fronte. Una voce ci sveglia dal duetto affettuoso: "Vedo che avete fatto amicizia."
Dallo stretto sentiero che conduce dal giardino dietro la casa alla strada viene una giovane signora. Ci sorridiamo e ci salutiamo con sorpresa perchè ci conosciamo di vista. La prima volta ci incontrammo al supermercato del vicinato, le nostre mani si allungavano contemporaneamente a prendere da uno scaffale in basso un sacchetto con dei piselli gialli secchi e ci venne da ridere. Da quel giorno ci salutiamo quando ci incontriamo. Non sapevo che abitasse qui. Mi dice: "Pussycat non viene mai a sedersi qui sul lato della strada, sta sempre in casa o nel giardino e non da mai molta confidenza alle persone che non conosce." Le voglio parlare della somiglianza con la gattina che avevamo anni fa a Roma. Lei con un grande sorriso sulla sua bellissima faccia color ebano, dove spiccano due grandi occhi egiziani, mi invita a raccontarle questa storia  nel suo giardino, per stare più comode. Apre il cancelletto e la seguo. Pussycat salta dal muretto e ci viene dietro. Grande è la mia sorpresa nello scoprire la parte del giardino non visibile dalla strada. Non è un giardino di grandi dimensioni, ma è un salotto accogliente. Nell'angolo c'è un delicato ginkgo biloba, un albero per cui ho un debole per via delle foglie dalla forma particolare; c'è un rododendro in piena fioritura e anche un'ortensia che mostra con orgoglio i suoi fiori bianchi. E poi sotto la finestra c'è una piccola aiuola di tulipani bianchi e rosa. Esprimo la mia meraviglia: non mi aspettavo un tale giardino nel retro. Si vede che a lei fanno piacere le mie parole di apprezzamento. Mi prega di sedermi su una delle sedie accostate al tavolo che sta vicino al basso muro che fa da divisorio fra una casa e l'altra. Pussycat, che mi sta girando intorno con grande impazienza, salta immediatamente sulle mie ginocchia, mi guarda in faccia e sotto le mie mani carezzevoli fa le fusa e si arrotola. La signora sorridendo guarda compiaciuta. Dice con la sua voce pacata ed elegante, come sono anche i suoi modi e la sua figura: "Vedo che Pussycat si sente a suo agio con lei." Si assenta un attimo salendo i pochi scalini che portano in casa e torna con delle bibite. Adesso le racconto di Poesjemauw e di tutti gli anni che è stata con noi. Lei a sua volta dice di come tre anni fa ha scelto Pussycat in mezzo ad una nidiata di gattini, o meglio di come i suoi figli hanno scelto questa gattina bianca e nera. Specifica che la mamma di Pussycat era una gatta proveniente dall'Europa.

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