lunedì 3 marzo 2025

 

 

Un giorno si affaccia nel mio ufficio il signor B. un dirigente di un altro reparto, giovane, tranquillo, mite. Ci incrociavamo nei corridoi, un saluto e due parole. Mi fa un cenno e io lo seguo nel corridoio. Aveva un favore da chiedermi. Il prossimo sabato lui e la moglie erano invitati a cena da amici e se io potevo fare da babysitter ai bambini. Ci ho pensato su al volo e no, quella sera non avevo impegni, potevo. Mi ha dato l'indirizzo. Il sabato seguente mi sono avviata con i mezzi verso casa loro.
Abitavano a Lomas de Palomar, una cittadina residenziale con villette, a 26 chilometri dal centro di Buenos Aires. Ho trovato i tre bambini, belli e tranquilli, già in pigiamino. La signora mi ha mostrato una grande stanza con i letti dei bimbi più un letto preparato per me. Ha chiuso le tapparelle per la notte poi mi ha indicato una pentola col minestrone e ha riempito un piatto per me, poi mi ha pregato di imboccare i figli prendendo la minestra direttamente dalla pentola, per non sporcare i piatti. Sono usciti. All'ora indicatami i bambini, molto educati, sono andati a letto senza storie. Quando sul tardi sono andata a letto ho trovato la stanza completamente buia. Ero abituata ad avere sempre un raggio di luce nella stanza perchè avevo paura del buio e perciò quella notte ho dormito pochissimo. La mattina, dopo una piccola colazione, la signora mi ha raccontato che giorni prima il figlioletto era andato ad una festa di compleanno e lei come regalo ha incartato un'arancia e poi ha messo un bel fiocco al pacchetto. Quando ero già sull'uscio mi ha detto: "mi spiace ma non ho soldi in casa. Sarà per la prossima volta". Mentre lei mi diceva così il signor B. guardava per terra. Più o meno un mese dopo B. mi ha chiesto un altro favore: la moglie per il sabato seguente aveva organizzato un pomeriggio di bridge con una decina di ospiti e se io potevo aiutarla a servire gli invitati. Mi sono avviata indossando una bella camicia che mia madre mi ha consigliato di indossare per l'occasione. Nel grande soggiorno i dieci ospiti erano seduti a cinque tavolini e con grande concentrazione giocavano a carte. La signora, in cucina, preparava bibite, salatini e dolcetti e io con un vassoio andavo e venivo servendo ai tavoli. Dopo un paio d'ore la festa era finita e come l'altra volta la signora mi ha detto di non avere soldi. Il marito era lì muto con gli occhi fissi sul pavimento. Io non ho detto niente e sono andata via. Avevo sacrificato i miei 2 giorni di libertà e avevo speso i soldi per il treno, andata e ritorno. 

 

 

domenica 2 marzo 2025

Argentina 2

 

Di fronte alla stazione c'era un negozio di dischi che mandava musica a tutto volume che si diffondeva nelle strade. Una volta che scendevo dal treno mandavano Eduardo Falù e mi sono fermata ad ascoltare questa musica struggente che mi colpiva profondamente. I testi parlavano della vita argentina, dei gauchos, della pampa. Ho comprato il disco. Che mi ha poi seguito di viaggio in viaggio, di casa in casa. Anche i miei figli da piccoli lo hanno ascoltato quando il giradischi di casa lo suonava. David lo conosce a memoria e lo trova sempre incredibile.

 

                                        https://www.youtube.com/watch?v=7fOXfaTX_Xo&  list=PLL8EOw8e3WXo3YMH40FLhSqkBuERu_uHM 

Mio fratello Henk era un appassionato conoscitore di musica classica che tutti noi ascoltavamo con sommo piacere. Quando Henk veniva a sapere che io dopo il lavoro la sera rimanevo in città mi dava una lista di dischi da cercare in un grande e fornitissimo negozio di musica aperto tutta la notte. I cinema, con lo stesso biglietto, ti offrivano 2-3-4 films di seguito e durante gli intervalli sul palco c'erano dei piccoli shows di ballerini di tango e chitarristi. Nella piccola città di Ramos Mejia, dove abitavamo, sono andata con i miei fratelli al cinema. Non ci hanno fatto entrare perchè per via del gran caldo loro avevano i piedi nudi e i sandali. Casa nostra era vicina e così siamo corsi a mettere i calzini. Una volta tornati al cinema un usciere aveva un'altra obiezione da farci: i miei fratelli erano sbracciati e dovevano coprirsi. Un'altra corsa a casa per mettere le giacche. Poi, alla fine, una volta dentro, con grande piacere ci siamo sorbiti tre o quattro films intervallati da altrettanti spettacolini. Una volta, dopo essere scesa dal treno, mi sono avviata verso casa. Un giovane uomo che abitava nella mia zona e che conoscevo di vista ha fatto un tratto di strada insieme a me. Sull'altro marciapiede camminava mia madre che è entrata in un negozio di alimentari. L'ho indicata e ho detto: "quella è mia madre".Il mio accompagnatore ha esclamato: "ma è più bella ti te!". Io l'ho raggiunta nel negozio proprio mentre il proprietario con grande dedizione era intento a servirla. Qualche giorno prima in casa era successo questo: ho letto ai miei un articolo di una rivista che suggeriva di essere sempre gentili con gli altri, avere sempre il sorriso pronto e fare dei complimenti, ad esempio: che bei capelli che ha! Qualche giorno dopo mia madre mentre faceva la spesa nell'alimentari con tono ammirato ha detto al proprietario: "ma che bei capelli che ha!". Lui, che era completamente calvo, dopo il primo stupore è scoppiato in una risata che non finiva più. Mia madre era molto spiritosa. Quando ho cominciato a lavorare in banca scendevo alla fermata Plaza de Majo. Uscendo all'aperto il riverbero del sole sulle chiare mattonelle della piazza era accecante. Passando per Casa Rosada, la residenza di Juan Peròn, sbucavo in Via 25 de Mayo dov'era la sede della banca. In quei tempi i giornali parlavano di manifestazioni violente in quella piazza ma io non mi sono mai accorta di niente. La mattina presto, prima di uscire, aiutavo mia madre con le faccende di casa e poi a volte uscivamo assieme in direzione mercato dove lei si fermava e io proseguivo per la stazione. Quando però le borse con la spesa erano troppo pesanti io non potevo non riaccompagnare mia madre a casa perdendo così il mio treno abituale ed essendo costretta ad attendere il prossimo. Al lavoro timbravo il cartellino in ritardo ma venivo perdonata perchè quando c'era bisogno di rimanere un quarto d'ora in più lo facevo volentieri. La frutta in Argentina era eccellente, dolce e succosa. In famiglia ci siedevamo attorno ad una ciotola stracolma di mandarini e li mangiavamo come fossero dolci squisiti, mai mangiato più dei mandarini così buoni.. Il nostro cane partecipava allo spuntino con golosità. Perchè da un pò di tempo avevamo un cane, preso al canile di Buenos Aires. L'abbiamo chiamato Kazan. Aveva tutto il giardino a disposizione e poteva entrare in casa quando voleva. A volte quando avevo tempo lo portavo a spasso al guinzaglio e così ho conosciuto un ragazzo della mia età che portava a spasso il proprio cane. Il ragazzo si chiamava Roberto e frequentava l'Accademia di Belle Arti. I suoi genitori erano russi e lavoravano tutti e due. Ogni sabato Roberto andava a lezione di russo. Eravamo come sorella e fratello perchè assomigliava ai miei fratelli, sia d'aspetto che nei modi. Sono stata a casa sua e lui ha messo un disco di musica classica: ci siamo sdraiati sul tappeto ad ascoltare rapiti. Che bei momenti. Un giorno per strada ho trovato un giovane cane in preda agli spasmi, che non finivano più. Assieme a Roberto l'ho portato dal veterinario che ci ha detto che non c'era rimedio alle sue sofferenze, l'unica cosa da fare era sopprimerlo. Ed è stato fatto, con mio sommo dispiacere.

sabato 1 marzo 2025

Si va in Argentina 1

 

 

                           https://www.youtube.com/watch?v=gUFcPI3LOqw

Che coraggio hanno avuto i miei genitori a decidere di cercare fortuna in un paese totalmente ignoto e di cui non conoscevano neanche la lingua. Mio padre aveva 42 anni e mia madre 41. Noi figli li seguivamo con fiducia ed entusiasmo. Prima di partire ad Amsterdam abbiamo fatto le visire mediche per ottenere il visto. Un medico col quale abbiamo chiacchierato ci ha detto: "Peccato che gente come voi se ne vada dall'Olanda". Con un febbrone dovuto al vaccino abbiamo fatto una foto ricordo da lasciare ai parenti in Frisia.

 

Io mi sono dimessa da segretaria di redazione di una nota casa editrice di libri e riviste di fotografia a Bloemendaal (ero anche in possesso dei diplomi di dattilografia e stenografia). Mio padre ha costruito scatoloni di legno per il trasloco. Ci abbiamo messo le cose che sarebbero state utili dall'altra parte dell'oceano. Mia madre ha salutato le vicine (abitavamo allora nella Ripperda Straat). Una di loro le ha regalato un canovaccio che per mia madre era un grande regalo in tempi di grandi ristrettezze. L'ha conservato sempre come fosse una reliquia preziosa. Mio padre non aveva i soldi per il viaggio e suo padre, ancora in vita, per il viaggio gli ha dato in anticipo i soldi dell'eredità. Nel settembre del 1950 ad Amsterdam ci siamo imbarcati sulla nave Entre Rios, una grande nave principalmente per emigranti. A bordo gli uomini e le donne dormivano in compartimenti separati. I bambini stavano con le donne. Ad Amburgo sono stati imbarcati altri passeggeri e dalla nave si vedeva la città devastata dai bombardamenti. Abbiamo poi attraccato a Las Palmas, in Spagna. La temperatura si era alzata e abbiamo dovuto cambiare vestiti per alleggerirci. Entre Rios A Las Palmas potevamo scendere per qualche ora. C'erano varie bancarelle con gioiellini molto colorati, fatti a mano, una delizia per gli occhi. Infine siamo arrivati a Buenos Aires. 

 

Sulla Entre Rios

Al porto si è presentato a noi un impiegato dell'Ambasciata dei Paesi Bassi che diceva di chiamarsi John Taylor; il suo compito era quello di assisterci e di portarci, il giorno dopo, alla stazione. Ci ha portato ad un piccolo albergo non lontano dal porto che aveva di fronte un grande palazzo che si chiamava Lunapark dove venivano programmati concerti e incontri di lotta wrestling. L'uomo parlava fluentemente spagnolo e olandese; ci ha portato in giro per la città offrendoci da bere. La mattina dopo ci è venuto a prendere per accompagnarci ad una stazione secondaria dove prendere un treno locale che ci portasse al nostro villaggio, che si chiamava J. J. Almeira. Una volta arrivati ci hanno mostrato la nostra abitazione e il proprietario della fattoria ci ha dato il benvenuto. Il manovale che mio padre avrebbe sostituito gli ha mostrato i macchinari, alquanto fatiscenti, per mungere e il loro funzionamento. La casa assegnataci era deludente, il bagno non aveva il water ma un buco nel pavimento e la cucina, piena di grasso, era stata usata dai gauchos per friggere la carne, che era l'alimento base del luogo. Siamo andati all'emporio per acquistare pane, zucchero, te, caffè, marmellata. L'emporio era veramente sguarnito, c'era pochissima scelta. Il manovale di prima ha iniziato a spiegare a mio padre e ai miei fratelli come si sarebbe svolto il lavoro: la mattina, quando era ancora buio, si montava a cavallo (senza sella) e si andava a rintracciare e raggruppare le mucche nelle vaste pianure delle Pampas. Una volta, ne buio, il cavallo di Henk si è fermato di colpo, forse per un serpente,. Henk è caduto perdendo gli occhiali da vista. Il giorno dopo, alla luce del sole, hanno fatto una attenta ma inutile ricerca. Per i miei fratelli, ragazzi di città, si trattava di un enorme e duro cambiamento di stile di vita. Sotto una grande tettoia erano raggruppate le mucche, tutto molto alla buona. Quesi tutte le mucche erano malate di Afta epizootica. Durante la mungitura con le macchine erano agitate e recalcitranti per il dolore alle mammelle. Il manovale irritato e impaziente scalciava le povere mucche sofferenti e inermi. In confronto la fattoria del New Jersey era un paradiso. Dopo circa una settimana è tornato John Taylor, l'uomo che ci aveva accolto al porto. Era appena passato all'emporio per informarsi dei nostri acquisti e ci ha rimproverato perchè secondo lui le cose che compravamo erano troppo lussuose (burro, marmellata, zucchero). Poi, incredibilmente, ci ha chiesto indietro i soldi delle bevande e della notte passata nella pensione in cui ci aveva portato. Solo dopo ci ha restituito i passaporti che aveva tenuto con se per le pratiche burocratiche. Abbiamo saputo che non troppo lontano abitava una famiglia olandese. Raccolte alcune informazioni ci siamo avviati per cercarla. Durante la lunga camminata è sbucato fuori dal nulla un cane lupo. L'ho salutato "ciao Michiel!" Era molto affettuoso e ci ha seguito fino alla nostra meta. La famiglia era molto simpatica e mentre in casa chiacchieravamo da fuori sono arrivati il ringhiare di una lite tra cani. Mi sono affacciata e ho visto che alcuni cani stavano attaccando Michiel considerandolo un intruso Senza esitare sono saltata dalla finestra e li ho separati. Forse i cani hanno capito che non avevo paura, sta di fatto che non mi hanno morsa e si sono calmati. Sulla via del ritorno, nel punto esatto in cui lo avevamo incontrato, Michiel ci ha lasciato. Ciao Michiel. La vita nella estancia (fattoria) era troppo primordiale per noi e abbiamo deciso di non rimanerci. Mio padre, sempre intrepido e attivo ha preso un treno per Buenos Aires per vedere come sistemarci momentaneamente. Tutto questo senza conoscere la lingua. Ha trovato una pensione molto spartana sotto i portici di Plaza de Mayo dove siamo stati circa una settimana. Ogni giorno leggevamo e valutavamo gli annunci di lavoro. In città abbiamo trovato tutti un lavoro ma in posti diversi. Mia madre ed io presso una coppia tedesca a Olivos, una città in provincia di Buenos Aires. Lì governavamo la casa e mia madre cucinava. Poi abbiamo trovato un altro impiego, a Vicente Lopez, un comune poco più a nord, sulle rive del Rio de la Plata. Mia madre come governante presso una famiglia, lui olandese e lei tedesca, più un figlio. Nel giardino, attacato alla villa c'era un piccolo appartamento dove alloggiava una giovane coppia addetta alla pulizia della casa e del giardino. Io lavoravo nelle vicinaze presso una famiglia tedesca dove ero trattata alla pari e svolgevo mansioni di casa assieme alla signora: cucina, spesa al mercato, al suono della radio si rammendava, ecc. Alla radio, una volta trasmettevano il Valzer dei fiori e io ho detto: "come mi piace Tchaikovski". La signora era stupita: "come fai a conoscerlo?". Alla fine del brano la voce del presentatore ha confermato che si trattava dell'opera del grande compositore russo. Avevo la mia cameretta e la mattina presto mi alzavo per preparare la colazione ai figli che andavano alla scuola tedesca. Dopo il pranzo c'era sempre il dessert e ricordo che la figlia maggiore amava mangiare prima il dolce e poi il resto. Questa figlia a volte si vedeva con un amica nella sua stanza per leggere delle poesie e io ero invitata a stare con loro. Gradivo molto perchè amavo le poesie tedesche imparate a scuola. Un pomeriggio c'era una festicciola di carnevale in quella casa, io ero tra gli invitati e la signora per l'occasione mi ha vestita da olandesina con tanto di cuffietta in testa cucita da lei. C'era tra gli invitati un giovane ingegnere inglese collega del marito della signora che poi è tornato a casa più volte per vedere me. Mi ha anche invitata a prendere un te a casa sua assieme alla mamma. Mi ha chiesto di sposarlo. Io lo trovavo molto simpatico ma niente di più e gli ho detto di no. Come ogni giorno, dopo pranzo, una volta riassestata la cucina, ero libera e andavo da mia madre che lavorava in una casa poco più in là, girando l'angolo. In questa casa si sostava in giardino ed ho conosciuto il figlio avuto dalla padrona di casa dal primo matrimonio. Ci siamo innamorati: la mia prima cotta. Lui studiava da veterinario, era bilingue e con lui parlavo tedesco come anche con sua madre. A volte andavamo al Rio della Plata a fare il bagno. Il fiume era enorme, non si vedeva l'altra sponda. Una parte della spiaggia era fatta di grandi massi e noi saltavamo di roccia in roccia. A volte prendevamo la barca per arrivare ad un isolotto nel fiume e, a forza di remare, mi son venuti i calli alle mani. Nel frattempo mio padre ha trovato in una cittadina, Ramos Mejia, un grande loft in una ex clinica psichiatrica dove poter vivere di nuovo tutti assieme. Ho sentito dire che a Buenos Aires c'era una banca olandese, il Banco Holandes Unido, situato nella strada 25 de Mayo. L'orario di lavoro della banca era dalle 12 alle 19. Un pomeriggio ci sono andata presentandomi all'ufficio del personale e, grazie al mio curriculum, ho potuto immediatamente iniziare a lavorare lì. Così è iniziato un altro capitolo della mia vita: con rammarico da entrambe le parti ho lasciato la famiglia tedesca e ho cominciato a vivere con i miei a Ramos Mejia, in Calle Necochea. Il loft era al pianterreno e c'era un grande giardino; mia madre, con le sue mani d'oro ha cucito delle tende per separare le stanze da letto dal soggiorno e dalla cucina. Le casse di legno del trasloco dallOlanda sono diventate armadietti. I mobili li abbiamo presi di seconda mano. La casa è diventata molto accogliente. Nel giardino raccoglievo dei fiori che mettevo in un vaso sul tavolo, come si usa in Olanda. Nell'altra ala del palazzo abitava una famiglia Croata i cui membri ogni volta che entravano in casa nostra esclamavano: "Come siete ricchi!". Ogni giorno andavo al lavoro prendendo il treno fino al capolinea, Plaza Once, lì il treno procedeva in galleria. Poi da lì prendevo la metropolitana fino al capolinea: Plaza de Mayo da dove, passando davanti alla casa Rosada di Juan Peron, in pochi minuti ero in banca. Il personale era per lo più argentino ma in ogni ufficio c'erano uno o due impiegati olandesi preposti alle pratiche in lingua olandese. Ho girato vari uffici con la mansione di segretaria. L'ultimo ufficio era denominato Cupones, era situato nel seminterrato con sportelli per il pubblico in cui si discuteva di capitali, investimenti, ecc. Mi trovavo molto bene lì, andavo d'accordo con le mie vicine di scrivania. Si chiamavano Velia e Carmen. Verso le 13.00 ogni giorno arrivava un inserviente con appesi al collo dei grandi contenitori che contenevano caffè, te e mate. In più c'era un panino o un cornetto, il tutto offerto dalla banca. Io ormai mi esprimevo bene in spagnolo, lo capivo, lo parlavo fluentemente. E pensare che circa un anno prima, appena trasferiti a Buenos Aires, io e i miei fratelli camminavamo per la strada quando una signora ci ha chiesto informazioni stradali. Noi con rammarico abbiamo detto "Ci spiace, non parliamo spagnolo". Alchè lei, indignata, ci ha detto aspramente: "Qui non si parla spagnolo, si parla CASTIGLIANO!".