venerdì 31 luglio 2015

Dopo la laurea.


Vedo in uno degli albums una foto di Pino dove è raffigurato insieme ad Errol Flynn ed altre persone.  Nel 1953 - Pino aveva 26 anni - è stato girato il film Il Maestro di Don Giovanni dal regista Vittorio Vissarotti. Una produzione importante per l'epoca, a colori, con scene girate nel Castello Lancellotti a Lauro che è un comune della provincia di Avellino. I protagonisti erano Errol Flynn e Gina Lollobrigida. Pino fungeva da interprete.

Pino secondo da destra

A quell'epoca si era forse già laureato in giurisprudenza. Dopo la laurea ha lavorato per un pò di tempo in uno studio di un avvocato, ma fare l'avvocato non era quello che voleva dalla vita e si è rivolto alla RAI di Napoli dove ha lavorato sporadicamente. Mi ha raccontato che il destino è stato favorevole. Un pomeriggio camminava per il Corso di Avellino e, dice, se non avesse attraversato la strada, la sua vita non sarebbe cambiata. Sul marciapiede di fronte ha incontrata una signora di Roma che era in visita da sua figlia sposata con un oculista di Avellino. Hanno chiacchierato del più e del meno. La signora ha detto che oltre la figlia aveva anche un figlio a Roma che lavorava alla RAI. E da una cosa ne è venuta un'altra. Questo figlio Pino l'ha poi conosciuto ricevendone validi consigli su come entrare nella RAI di Roma. Il seguito lo sappiamo.
Pino vestiva sempre molto elegante e originale, era ammirato dagli amici. Aveva conosciuto un italo-americano, un ex gangster, che ogni tanto veniva a passare una breve vacanza ad Avellino, la città dei suoi avi. Aveva preso in grande simpatia Pino e ogni tanto gli mandava dall'America qualche soldo e del vestiario sapendo del suo debole per i vestiti americani. Pino ha continuato negli anni ad avere tocchi di estrosità. Per esempio prendeva una cravatta dall'armadio e, con finta noncuranza, se la metteva a mò di sciarpa intorno al collo, ed era elegante, un precursore.



Una volta è venuta a farci visita la sua collega Teresa Piazza e tanto si è invaghita del gilet rosso, bianco e nero che Pino indossava che lui gliel'ha regalato. Quando tornavo da un soggiorno dai miei in Canada e gli portavo un cappello da cowboy lui il giorno dopo usciva col copricapo nuovo e stava benissimo. E c'era naturalmente chi lo criticava e chi lo teneva in grande considerazione. Comunque, con disinvoltura, era sempre vestito con buon gusto.
Dopo la laurea con gli amici c'era il progetto di girare un film. Tutto era pronto, i soldi c'erano e gli attori erano già stati scelti, Pino, ovviamente, attore protagonista. Ma tutto il cast si è dato alla bella vita e i soldi in breve tempo sono spariti tra cene e locali notturni. Il film è stato archiviato.



Pino studente

Durante gli anni del liceo papà Stanislao controllava che i figli studiassero, s'interessava ai loro voti.
Pino giocava a calcio come portiere. Mi ha raccontato che gli piaceva mettersi in mostra, nelle mosse era teatrale, ma nel gioco era una pippa. Una volta è venuto suo padre a vederlo giocare e guardando il figlio in azione ha alzato le spalle e se ne è andato.
Poi ha preso giurisprudenza all'università di Napoli. I giorni che andava a lezione portava con se una pagnotta preparata dalla mamma. Durante gli anni universitari ha continuato col teatro e col canto insieme agli amici Palumbo e a tanti altri. Quando c'era un evento studentesco al solito era lui il protagonista. C'è una foto che raffigura una sfilata di studenti e Pino è il principe sul cavallo. Participando ad una gara di imitazioni, ha vinto il microfono d'argento che purtroppo è andato perduto.


Andando ad Avellino, e passando prima per Napoli, ci ha fatto vedere qualche volta l'università dove ha studiato. Ne era rimasto affezionato. Abbiamo camminato per la città visitando Forcella e il suo mercato, Spaccanapoli,  i Quartieri Spagnoli con i celebri bassi e Castel dell'Ovo.

Spaccanapoli
Gli amici lo chiamavano capo. Anche quando ormai eravamo sposati incontrando i vecchi amici loro si rivolgevano a lui con quell'appellitivo. Con il suo più caro amico, Peppino De Maio, siamo sempre rimasti in contatto. E dalla bocca di Peppino usciva di continuo capo qui, capo là.
Il secondo giorno di Pasqua, Pasquetta, se non pioveva, era consuetudine che Pino ed un gruppo di amici salissero per un sentiero fino alla cima di Monte Vergine, impresa ardua. Una volta nel santuario alloggiavano dai frati, dormendo nelle celle. Quante volte Pino ha raccontato queste avventure ai nostri figli ancora piccoli, inserendo incontri con spiriti e presenze misteriose, e i bambini volevano sempre riascoltare queste storie.
Naturalmente aveva delle fidanzatine, ma il suo sogno era di sposarsi un giorno con una ragazza straniera. Mi ha raccontato di quella volta che sua cugina di secondo o terzo grado, Italia, che abitava a Venezia, è venuta per qualche giorno ad Avellino. Tutti i maschi si sono infatuati di lei forse perchè  era un pò diversa dalle ragazze che frequentavano normalmente. Un pomeriggio hanno organizzato una scampagnata, cugini ed amici, in onore di Italia. Hanno attraversato un tratto boscoso. Il sentiero era stretto con ai lati folti cespugli. Si era costretti a camminare in fila indiana. Gli ultimi erano Gino e Italia. E, dato che la gonna di Italia si è impigliata ad un arbusto, sono rimasti parecchio indietro. All'improvviso quelli davanti  hanno sentito la voce di Italia che gridava forte: "Mi fai male! Lo stai spingendo dentro! Non così forte! Basta! Smettila." Quelli davanti si sono guardati in faccia: "Vuoi vedere che Gino ha concluso qualcosa?" Ma che cosa era successo? Era entrato qualcosa in un occhio di Italia e Gino stava provando a toglierlo. Che risate. Qualche volta Italia è stata ospite da noi a Roma con la sua nipotina Marina che giocava con i nostri figli.

Pino giovanotto

Il 10 giugno 1940 l'Italia di Mussolini entra in guerra e diventa alleata della Germania di Hitler.
Ad Avellino la caserna viene occupata dai militari tedeschi e nelle scuole si comincia ad insegnare un pò di tedesco. Pino è un ragazzino di 13 anni e se la cava bene con questa nuova lingua tanto che i soldati tedeschi, anche loro ancora ragazzi, gli chiedono spesso di fare da interprete. E così acquista molta scioltezza nel parlare il tedesco.
L'8 settembre 1943 viene proclamato per radio l'armistizio tra l'Italia e le Forze Alleate anglo-americane. Euforia in Italia: la guerra è finita. Ma non è così, la guerra continua.
Dal 14 settembre 1943 Avellino è sottoposta a diversi bombardamenti dell'aeronautica americana. Tantissime case distrutte e 3000 morti. La famiglia D'Amore prende per un paio di anni in casa un'anziana signorina e il suo piccolo cane, il suo unico bene, rimasti senza casa.
Il 1° ottobre 1943 una prima pattuglia di soldati americani entra in città e ben presto ne seguono altre. I soldati tedeschi si ritirano. Pino, allora 16enne, rimase colpito dalle uniformi razionali e comode degli americani e dal loro modo dinoccolato di muoversi.
La condizione di fame e miseria persiste. Nasce un fiorente mercato nero. Gli alleati fanno importare grandi quantitativi di grano e farina dall'estero. Ma comunque il pane è razionato: un etto al giorno. Bisognava possedere la tessera annonaria da cui staccare ogni giorno un talloncino. Pino, ragazzino intelligente e intrapendente, si da da fare. Frequenta i militari americani e si destreggia in poco tempo con la loro lingua. Riesce a portare a casa diversi prodotti alimentari. Sua sorella Tina, stanca del solito burro, arriva al punto di chiedergli di procurarsi del burro di un'altra marca. Pino raccontava con affetto di due giganteschi fratelli canadesi che erano affranti di nostalgia per i loro cari e il loro paese. E si ubriacavano.
Il 25 aprile del 1945 la guerra finisce. Si festeggia la liberazione d'Italia dai nazifascisti. Poco a poco riprende la vita normale. Pino frequenta il liceo classico e con gli amici si raduna spesso a casa dell'amico Enrichetto Palumbo e delle sue sorelle Irma e Liliana per fare teatro. E, accompagnato al pianoforte da Liliana,  canta, e molto bene. Più in là si esibisce anche nei locali.



Liceo Colletta, 1942 (a destra Enrichetto Palumbo)
Per guadagnare qualche soldo extra dà lezioni d'inglese. E' successo che una volta un padre, impossibilitato a pagare le lezioni del figlio, ha preso due caraffe dal tavolo, una per l'olio e una per l'aceto e non c'era verso, Pino doveva accettarle come ricompensa. Sono passati tantissimi anni e sono ancora in casa su di uno scaffale in alto nella mia stanza e quante volte dal letto le guardo e penso a come siano state guadagnate. Vedo la scena del padre mortificato che le prende dal tavolo e Pino che per non offendere si sente in dovere di accettarle.


 

lunedì 13 luglio 2015

Ad Avellino i figli crescono

C'è una foto qui in casa sulla quale si vede, fra gli altri, mio suocero, un suo collega medico e Mussolini, in Albania. Quando il 7 aprile 1939 l'Albania venne invasa dalle truppe fasciste alcuni medici italiani furono spediti al fronte per assistere i combattenti. Mio suocero era uno di loro. Non c'è una data sulla foto e così ho pensato di informarmi su Internet: leggo che Mussolini visita l'Albania l'otto maggio del 1941. E poi ci sono infinite pagine che parlano di quel fattaccio. Io non ne sapevo niente e qualche minima cosa la trascrivo qui.
Dal 7 al 15 aprile 1939 l'Italia fascista invade e annette l'Albania. I militari italiani non incontrano particolari resistenze dall'esercito albanese. Fu una prevaricazione del più forte sul più debole. Mussolini decise di invadere l'Albania per espandere il proprio impero. L'Albania diventa italiana con un colpo di mano. Vittorio III re d'Italia e imperatore d'Etiopia diventa anche re d'Albania. In totale gli italiani che sbarcarono in Albania e occuparono il paese furono circa 22.000. L'occupazione durò dal 1939 fino al 1943 e le statistiche dei danni arrecati all'Albania dall'occupante italiano parlano di 28.000 morti, 12.600 feriti, 43.000 deportati ed internati nei campi di concentramento, 61.000 abitazioni incendiate, 850 villaggi distrutti, 100.000 bestie razziate, centinaia di migliaia di alberi da frutta distrutti.
Mussolini era alto l metro 68. Nella foto mio suocero sembra avere la stessa altezza del duce. A quei tempi Lauccio era considerato, almeno nel meridione, un uomo alto. Uno zio di Chiusano mi disse una volta: "Tuo suocero è altissimo, è quasi un metro e settanta." Mia suocera non arrivava al metro e sessanta. I loro figli una volta adulti superavano di parecchio i genitori. Pino era il più alto col suo metro e ottantadue. In Italia c'è il proverbio altezza mezza bellezza.
Quando mio suocero era in Albania ha chiesto alla moglie di mandargli una foto di lei e dei figli. Il ritratto è molto bello, e quanto era carino Pino.

Raccontava mia suocera che per la sua famiglia preparava pentoloni di pasta. A volte prima di andare al lavoro mio suocero diceva: "Feluccia oggi a pranzo minestrone." Alchè il lamento dei figli in coro: "No, no, no." Mentre mangiavano il minestrone Lauccio ordinava: "Feluccia stasera la pasta."
Senza pasta non riuscivano a vivere. Mia suocera che io chiamavo mamma dal primo giorno che l'ho conosciuta (su richiesta di Pino) cucinava piatti squisiti. Era felice che a me piacessero le verdure, anche lei le mangiava volentieri e le preparava così bene che tutti, oltre che della pasta si servivano anche dei fagiolini, zucchine, insalata e altro. Ma guai a toglierli la pasta. Anche la sua pasta e fagioli era buonissima, ma tutti lasciavano i fagioli sul piatto perchè erano pesanti mentre a me i fagioli piacevano più della pasta.

Nonno Stanislao, primo camice bianco da sinistra.






domenica 12 luglio 2015

Pino bambino



Avellino

Quando andavamo a trovare i parenti ad Avellino poteva succedere che mia suocera ed io eravamo, solo noi due, sedute alla finestra con la vista sul Corso. Guardavamo la gente che passava e frattanto mi raccontava episodi della sua vita e di quando i suoi bambini erano piccoli. Oltre ai sei figli viventi aveva avuto un maschietto, Mimì, che all'età di due anni è morto di tifo; un'altro figlio è morto, prematuro. Perciò mamma Raffaella i suoi giorni più che bui li ha avuti.
Prima di abitare sul Corso vivevano in una piccola traversa di Via Nappi che è chiamata Lo Stretto, e là sono nati tutti i piccoli D'Amore. Di fronte alla loro casa c'era l'asilo e per pranzo i bambini portavano nel loro cestino saporite pietanze preparate dalla mamma. Dal soggiorno di casa mamma Raffaella poteva guardare dentro l'aula dell'asilo e spesso vedeva che le maestre divoravano con verocità il contenuto dei cestini dei figli. Lei rideva quando me lo raccontava ma io penso che negli anni trenta c'era grande ristrettezza economica e per la fame le povere maestre non si facevano scrupoli a servirsi dei pasti di quei bimbi paffuti.
Non erano poveri ma neanche ricchi. Mio suocero Lauccio curava la povera gente quanto la classe benestante e così, invece che con danaro, spesso veniva pagato con delle uova, una gallina o altro. Forse i genitori di Raffaella, che erano i ricchi di Chiusano, essendo il papà esattore delle imposte, hanno dato una mano quando necessario. Pino mi ha raccontato che quando i nonni materni venivano in visita portavano dei regali, una volta persino un cavalluccio a dondolo. Il nonno paterno invece portava in dono bellissimi disegni di uccelli fatti da lui che però non venivano apprezzati, nessuno capiva quel suo talento e la dedizione nel creare quelle piccole opere d'arte. Quei disegni hanno avuto vita breve, sono tutti andati perduti. I nonni di Chiusano avevano una carrozza e Pino, Seppiniello, amava stare con i cavalli. Gli è rimasto sempre un debole per questi nobili animali. Una volta, da bambino, Pino era introvabile e finalmente dopo lunghe ricerche l'hanno trovato nel cortile della loro casa, nello Stretto, che dormiva sotto il carretto che veniva usato, trainato da un cavallo, da un inquilino del palazzo per portare il carbone nelle case. Io e i nostri figli abbiamo spesso regalato a Pino, per il suo compleanno o a Natale, un cavalluccio soprammobile.





Mia suocera aveva un modo di punire i suoi figlioletti tutto particolare: li metteva in fila e gli dava, dal primo all'ultimo, un morso sul braccio. Questo rito era accompagnato da un canto piagnucoloso: "Mamma non ci muzzicà, mamma non ci muzzicà"
Una sera, da sposati, Pino mi ha raccontato, ancora divertito dopo tanti anni, di quando al cinema è stato proiettato il film Via col Vento che tutta la città è andata a vedere. Anche mamma ci è andata insieme ai figli, la servetta e una teglia di lasagne. Negli intervalli del lunghissimo film tutti gli spettatori picniccavano.
Quando di domenica la banda di Avellino suonava musica operistica nella villa comunale papà Stanislao non mancava di assistere, amava l'opera. Perciò all'ultima figlia è stato dato il nome Norma.
Dopo qualche anno si sono trasferiti nella strada principale: Via Vittorio Emanuele, a fianco della chiesa del Rosario. E là, appena fidanzati, Pino mi ha fatto conoscere la sua famiglia. Mi ricordo con ilarità che una sera tardi mi sono alzata dal letto per andare in cucina a bere un bicchiere d'acqua. Indossavo un pigiama grigio chiaro, quasi bianco, prestatomi da Pino. La luna illuminava, attraverso una finestra e con luce spettrale, il corridoio che conduceva in cucina. All'improvviso degli urli penetranti: tutti si sono alzati spaventati. Era Norma, anche lei alzatasi per bere, che, vedendomi fluttuare a piedi scalzi senza il  minimo rumore in quel pigiama enorme reso evanescente dalla luce lunare, mi aveva scambiato per uno spettro.
Per sbrigare le faccende di casa e per avere un aiuto a crescere i figli mia suocera ha preso in casa una ragazzina sui dodici anni, anche lei ancora bambina. Ai suoi genitori veniva versata una piccola somma e la bambina aveva vitto, alloggio ed i vestiti usati dei figli dei datori di lavoro. Questa piccola domestica, trattata bene, si è affezionata alla famiglia e quasi considerava mia suocera la sua vera mamma. Durante la seconda guerra mondiale avevano una ragazza di nome Livia, era sola al  mondo. Un giorno che è andata in giro a cercare del cibo per la famiglia si è presa una broncopolmonite ed è morta. Quando è nata nostra figlia Sigrid, Pino mi ha chiesto se per me andava bene aggiungere a Sigrid Anne anche il nome Livia. Quando ho sentito la storia di questa piccola serva ho acconsentito senza esitare. E ancora adesso mi viene spesso in mente.   

sabato 4 luglio 2015

Candida e Chiusano di San Domenico (Provincia di Avellino, Irpinia, Campania)

Sui documenti è annotato che Giuseppe Antonio D'Amore è nato il 24 aprile 1927. Mia suocera diceva che suo marito solo dopo quasi un mese è andato all'anagrafe per far registrare la nascita del loro terzo figlio e perciò la vera data di nascita è, circa, il 27 marzo. Giuseppe in casa veniva chiamato Geppino che poi è diventato Pino. I nonni materni lo chiamavano speso Seppiniello, che poi è diventato Sepp. Erano in sei figli: Carmine (Nino), Gino (il cui vero nome era Emilio), Giuseppe (Pino, Sepp), Concettina (Tina), Walter e Norma. Solo Norma è ancora in vita e vive sempre ad Avellino con suo marito, Alfonso. Non hanno avuto figli.
Quando Pino ed io siamo andati ad Avellino a trovare la sua famiglia, era nel 1960, mio suocero Stanislao (Lauccio) quando ha saputo che ero al quinto mese di gravidanza, ha balbettato: "Se è un maschio chiamatelo come me." Soffriva di arterosclerosi ed era invecchiato precocemente, non si ricordava che il primogenito di Nino già portava il suo nome. Non ha fatto in tempo a vedere nostro figlio David Stanislao: è morto il 14 settembre, tre mesi prima che nascesse.
Mio suocero era nato a Candida, un paese nell'Irpinia ( aerea 5,43 km quadrati, 1.164 abitanti), il 4 marzo 1894. Qualche anno dopo la sua morte siamo andati a trovare sua sorella Delia che viveva nella casa paterna. Mi ricordo Candida come un piccolo paese molto bello e tranquillo con le sue straduzze deserte intercalate da piccoli orticelli. Intorno una natura bellissima. Delia, una piccola signora delicata con tratti fini e pelle olivastra come suo fratello, era molto felice di riceverci, eravamo una gradita interruzione alla sua vita monotona. Ci raccontava che lei e le sue sorelle erano rimaste a casa, sacrificandosi, per fare studiare da medico il loro fratello. In quel minuscolo paese il suo papà era maestro di scuola elementare.


Mia suocera, Raffaella Tentindo, era nata il 27 luglio 1901 a Chiusano San Domenico ( aerea 24,56 km quadrati, 2.320 abitanti). Aveva due fratelli, Michele e Luigi e quattro sorelle, Clelia, Amelia, Wilma e Dora. Solo Clelia non era sposata. Le altre tre sorelle venivano spesso a trovare la sorella ad Avellino e noi andavamo in visita da loro. Quando ero incinta di David sono stata per qualche giorno ospite di zia Wilma con suo marito Emidio e i figli Carlo e Angela Gabriella. Facevo passeggiate con le cugine più grandi Letizia e Maria Antonietta insieme ai loro amici fino all'Acqualemma e alla chiesa di San Domenico situata molto in alto. Quando esclamavo parole di ammirazione per la stupenda natura, rimanevano stupiti perchè vivendoci in mezzo non si accorgevano della fortuna di essere circondati da tante cose belle.

Acqualemma

Chiusano e il monte Tuoro






Luigi è morto giovane, lasciando moglie e tre maschietti piccoli. Zio Michele abitava con moglie e figli a Rieti. Quando Sigrid aveva due anni siamo stati loro ospiti per una piccola vacanza sulla neve. 
Mia suocera mi ha raccontato di come aveva conosciuto suo marito. Quando Stanislao si è laureato, suo papà, avendo saputo che a Chiusano abitava una famiglia con ben quattro figlie, si è avviato per conoscerle di persona e per parlare con il loro genitore. L'incontro è stato gradito da entrambe le parti e si è deciso che la figlia Rafaella e Stanislao avrebbero dovuto conoscersi per eventualmente, più in là, sposarsi. I due giovani si sono piaciuti a vicenda e si sono frequentati sempre chaperonati dalle sorelle, e, quando Raffaella aveva 18 anni e Stanislao 25, si sono sposati.  


mercoledì 1 luglio 2015

Telegiornali e dintorni nel 1974



Quando nel 1958 ho conosciuto Pino lui lavorava alle Onde Corte, leggeva il giornale radio e  sketches pubblicitari insieme ad una collega. Questi sketches, spesso scritti anche da Pino, erano piccole recite. Ho assistito qualche volta a come pubblicizzavano con entusiasmo cibi e articoli per bambini. Interpretavano a volte un marito e una moglie che litigavano sulla presunta bontà di un prodotto finchè lui o lei convinceva il partner con dimostrazioni verbali che quello specifico oggetto fosse il migliore sul mercato. Era buffo assistere a questi dialoghi recitati in diretta e in maniera naturale. Gli piaceva scrivere, a Pino. Nei primi anni sessanta ha realizzato degli spettacolini per bambini (come il Circo Za-Bum). E negli anni seguenti ha cominciato a pubblicare racconti, romanzi e lavori teatrali.
Il 22 marzo 1959 ci siamo sposati e nel 1971, dato che aveva una bellissima voce ed un'ottima dizione, è passato dalla radio alla televisione per leggere il telegiornale e prestare la voce a documentari.
Ho sbirciato su Google a proposito dei lettori del telegiornale e ho letto quello che segue:
"Il telegiornale era letto dagli speakers, ovvero da lettori di professione istruiti allo scopo.
La loro apparizione sullo schermo non era accompagnata da alcuna sovraimpressione che ne indicasse il nome, nè da una targhetta sulla scrivania che ne indicasse le generalità.
A questo suo misterioso anonimato lo speaker univa una dizione perfetta, un pò fredda e impersonale, ma straordinaria per chiarezza e comprensibilità. Diventare speaker era cosa tutt'altro che facile. Oltre all'ovvia telegenicità e a una voce correttamente impostata, si richiedeva una cultura omnidirezionale e una buona conoscenza delle lingue straniere, indispensabile nella lettura delle notizie di politica estera.
Ta i più celebri speakers del telegiornale ricordiamo: Riccardo Paladino, Gigi Carrai, Gianni Rossi, Edilio Tarantino, Alberto Lori e Sepp D'Amore. Giuseppe, detto Sepp e anche Pino D'Amore, da ricordare per l'ottimo talento di scrittore.
Oggigiorno i telegiornali sono ormai condotti dai giornalisti della testata. Tuttavia le voci fuori campo dall'impostazione perfetta ci sono ancora, ad esempio nella lettura dei comunicati di rete, nei numerosi spots pubblicitari, nei documentari, e così via. Sono proprio queste voci a mantenere vivo il più bel modo di parlare la lingua di Dante."
Quando andavamo a trovare i parenti ad Avellino Pino a volte parlava con loro il dialetto avellinese. Ma il suo italiano era senza pecche ed accenti, mentre tutta la sua famiglia aveva una forte cadenza dialettale.
I nostri tre figli hanno anche loro una bella voce e David non è mai stato influenzato dalla cadenza romanesca. Di Jan e Sigrid si sente che sono romani di Roma.