domenica 12 luglio 2015

Pino bambino



Avellino

Quando andavamo a trovare i parenti ad Avellino poteva succedere che mia suocera ed io eravamo, solo noi due, sedute alla finestra con la vista sul Corso. Guardavamo la gente che passava e frattanto mi raccontava episodi della sua vita e di quando i suoi bambini erano piccoli. Oltre ai sei figli viventi aveva avuto un maschietto, Mimì, che all'età di due anni è morto di tifo; un'altro figlio è morto, prematuro. Perciò mamma Raffaella i suoi giorni più che bui li ha avuti.
Prima di abitare sul Corso vivevano in una piccola traversa di Via Nappi che è chiamata Lo Stretto, e là sono nati tutti i piccoli D'Amore. Di fronte alla loro casa c'era l'asilo e per pranzo i bambini portavano nel loro cestino saporite pietanze preparate dalla mamma. Dal soggiorno di casa mamma Raffaella poteva guardare dentro l'aula dell'asilo e spesso vedeva che le maestre divoravano con verocità il contenuto dei cestini dei figli. Lei rideva quando me lo raccontava ma io penso che negli anni trenta c'era grande ristrettezza economica e per la fame le povere maestre non si facevano scrupoli a servirsi dei pasti di quei bimbi paffuti.
Non erano poveri ma neanche ricchi. Mio suocero Lauccio curava la povera gente quanto la classe benestante e così, invece che con danaro, spesso veniva pagato con delle uova, una gallina o altro. Forse i genitori di Raffaella, che erano i ricchi di Chiusano, essendo il papà esattore delle imposte, hanno dato una mano quando necessario. Pino mi ha raccontato che quando i nonni materni venivano in visita portavano dei regali, una volta persino un cavalluccio a dondolo. Il nonno paterno invece portava in dono bellissimi disegni di uccelli fatti da lui che però non venivano apprezzati, nessuno capiva quel suo talento e la dedizione nel creare quelle piccole opere d'arte. Quei disegni hanno avuto vita breve, sono tutti andati perduti. I nonni di Chiusano avevano una carrozza e Pino, Seppiniello, amava stare con i cavalli. Gli è rimasto sempre un debole per questi nobili animali. Una volta, da bambino, Pino era introvabile e finalmente dopo lunghe ricerche l'hanno trovato nel cortile della loro casa, nello Stretto, che dormiva sotto il carretto che veniva usato, trainato da un cavallo, da un inquilino del palazzo per portare il carbone nelle case. Io e i nostri figli abbiamo spesso regalato a Pino, per il suo compleanno o a Natale, un cavalluccio soprammobile.





Mia suocera aveva un modo di punire i suoi figlioletti tutto particolare: li metteva in fila e gli dava, dal primo all'ultimo, un morso sul braccio. Questo rito era accompagnato da un canto piagnucoloso: "Mamma non ci muzzicà, mamma non ci muzzicà"
Una sera, da sposati, Pino mi ha raccontato, ancora divertito dopo tanti anni, di quando al cinema è stato proiettato il film Via col Vento che tutta la città è andata a vedere. Anche mamma ci è andata insieme ai figli, la servetta e una teglia di lasagne. Negli intervalli del lunghissimo film tutti gli spettatori picniccavano.
Quando di domenica la banda di Avellino suonava musica operistica nella villa comunale papà Stanislao non mancava di assistere, amava l'opera. Perciò all'ultima figlia è stato dato il nome Norma.
Dopo qualche anno si sono trasferiti nella strada principale: Via Vittorio Emanuele, a fianco della chiesa del Rosario. E là, appena fidanzati, Pino mi ha fatto conoscere la sua famiglia. Mi ricordo con ilarità che una sera tardi mi sono alzata dal letto per andare in cucina a bere un bicchiere d'acqua. Indossavo un pigiama grigio chiaro, quasi bianco, prestatomi da Pino. La luna illuminava, attraverso una finestra e con luce spettrale, il corridoio che conduceva in cucina. All'improvviso degli urli penetranti: tutti si sono alzati spaventati. Era Norma, anche lei alzatasi per bere, che, vedendomi fluttuare a piedi scalzi senza il  minimo rumore in quel pigiama enorme reso evanescente dalla luce lunare, mi aveva scambiato per uno spettro.
Per sbrigare le faccende di casa e per avere un aiuto a crescere i figli mia suocera ha preso in casa una ragazzina sui dodici anni, anche lei ancora bambina. Ai suoi genitori veniva versata una piccola somma e la bambina aveva vitto, alloggio ed i vestiti usati dei figli dei datori di lavoro. Questa piccola domestica, trattata bene, si è affezionata alla famiglia e quasi considerava mia suocera la sua vera mamma. Durante la seconda guerra mondiale avevano una ragazza di nome Livia, era sola al  mondo. Un giorno che è andata in giro a cercare del cibo per la famiglia si è presa una broncopolmonite ed è morta. Quando è nata nostra figlia Sigrid, Pino mi ha chiesto se per me andava bene aggiungere a Sigrid Anne anche il nome Livia. Quando ho sentito la storia di questa piccola serva ho acconsentito senza esitare. E ancora adesso mi viene spesso in mente.   

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