martedì 8 marzo 2011

Una paura irrefrenabile frenata (8-3-2004)


Decisero, i miei tre figli, come facevano spesso quando erano riuniti a Roma, di fare una gita fuori città con i rispettivi fidanzati ed amici. I soliti libri e cartine da consultare apparivano sul tavolo e venne anche questa volta stabilito il posto dove andare. Gira e rigira i ragazzi scelsero un luogo dove erano già stati anni prima e del quale erano entusiasti. Sentivo come di consueto parlare di grotte e di tombe etrusche. Era il figlio maggiore che con il suo spirito di avventura trainava gli altri nella sua scia. Già piccolissimo era più che felice quando in Canada, insieme a zii, cuginetti e nonni si andava per sentieri sperduti una volta percorsi dai pellirosse. O quando poteva bivaccare per tutta una lunga notte insieme a qualche cuginetto in una tenda piantata nell'enorme giardino e, anche se non c'erano tigri e leoni, i tanti animali selvaggi che si vedevano e sentivano erano per lui sconosciuti.
David - 2009.
A Roma gli era venuta la passione per le grotte. I suoi racconti in proposito erano terrificanti. Una volta gli successe, in una caverna, di dover strisciare lungo lungo per terra per passare da una stanza all'altra essendo il soffitto talmente basso da non permettere altra via di passaggio. Un'altra volta lui ed i suoi compagni di speleologia si separarono nei sotterranei. Ad un certo punto la luce sul suo casco urtò contro il soffitto spegnendosi e lui, mantenendo la calma, si sedette contro la parete nel buio più assoluto aspettando che gli altro tornassero.
Sentendo queste storie rabbrividì avendo io paura del buio e dei luoghi chiusi. No, non potevo condividere questa sua passione.
I suoi fratelli ed amici andavano con lui solo se si trattava di una grotta facile da esplorare e dove in breve tempo si potesse tornare alla luce.
Gli zaini venivano preparati con panini, frutta e acqua. Mamma, vieni anche tu, il tempo è bellissimo, la natura altrettanto, tu puoi rimanere al sole. Potevo? Si, non c'erano problemi.
Dalla macchina si vedevano intere famiglie sostare sotto gli alberi ai bordi della strada trafficata intente nei preparativi del picnic.
Una volta parcheggiate le nostre automobili c'era ancora parecchio da camminare prima di arrivare alla meta. Lasciata la strada ed entrando nella fitta vegetazione non incontravamo più nessuno, solo, a volte, segni del passaggio dei barbari: buste, piatti, bicchieri di plastica, residui di cibo ed altro. C'era un grande silenzio con musica celestiale di sottofondo: l'orchestra divina della natura, di tutto quello che vive lontano dalla presenza umana.
Un ruscello con acqua limpida e gelata dove riempire le nostre bottiglie e bagnare i nostri piedi. Fiorellini ed animalucci dappertutto. Colline, un abisso profondo, un prato con mucche che ci guardano incuriosite, occhi grandi, buoni, innocenti, fiduciosi. Esseri inermi. Le salutiamo con calore. Un tratto di mondo talmente bello da non trovare parole adatte per esprimere la nostra ammirazione.
Poi le tombe etrusche. Davamo un'occhiata dentro, un popolo affascinante, un'umanità sofferta e gioiosa a pochi passi da dove sorge adesso il mondo moderno. Quante storie interessanti da scoprire sul loro conto.
Arrivammo alla grotta agognata, una  bocca spalancata e nera, delizia per tanti del gruppetto, diffidenza per una: me. Mangiammo il nostro parco pranzo con gusto. Dopodichè rimasi sola, appoggiata ad un tronco. Sentii piano piano le voci allegre diventare cavernose e poi sparire. Il silenzio era profondo, il calore del sole mi faceva venire un bel torpore, finchè il caldo ad un certo punto diventò così forte che decisi di ripararmi nell'entrata della grotta. Mica si stava male là dentro. C'erano dei disegni sul muro che mi affascinavano. Erano questi dei graffitti grotteschi? I miei occhi seguivano il loro corso, giravano l'angolo, i miei piedi seguivano gli occhi. Trovai un buio pesto, volevo tornare indietro, tastando non ci riuscivo. Panico, una paura senza freni, sighiozzi, disperazione, stavo per perdere i sensi. All'improvviso una dorata luce e una voce fuori di me e dentro di me che diceva in parole non parole, in tutte le lingue: "Non avere paura, don't be afraid, habe keine Angst, no tengas miedo, niet bang zijn." Il mio turbamento svanì all'istante, una grande quiete s'impadronì di me, ero felice. Con grande facilità trovai l'uscita. Assorbivo con avidità tutto il bello davanti a me. Invasa da un benessere formidabile mi sedetti appoggiandomi ad un albero e nella sua ombra mi addormentai. Mi svegliarono le gaie voci degli avventurieri. "Mammuccia, hai dormito, si vede, stai proprio bene." E giù racconti sulle meraviglie della grotta.
Laura in una grotta preistorica, 2010.
Quel giorno tornai a casa con il  mio segreto. Chisssà, avrebbero detto forse che mi facevo troppo influenzare dai libri di Shirley McLaine e Carlos Castaneda. E poi se fosse stato semplicemente un sogno? Magari venissero sempre simili sogni nei momenti di così grande paura. Lo augurerei a tutti.
In ogni caso questa giornata è stata bella, felice e particolare. Da reiterare dalla a alla zeta.

Nessun commento:

Posta un commento